Il caso di cui si è occupata la Cassazione con la sentenza 5 ottobre 2012, n. 17040 riguarda due cause pendenti presso il Tribunale di Napoli. La prima, per la divisione dell’eredità promosso da alcuni coeredi nei confronti di altri e la seconda, una domanda di dichiarazione di paternità naturale da parte della presunta figlia di uno dei coeredi partecipanti alla divisione.
Con la successione ereditaria si verifica una comunione pro quota che consente agli eredi, in ogni momento, salvo le diverse disposizioni richiamate dall’art. 713 del codice civile, di chiedere la divisione. I soggetti legittimati ad agire sono naturalmente tutti i coeredi ed è necessario che al giudizio partecipino tutti, per cui si verifica un litisconsorzio necessario.
Alla divisione giudiziale si ricorre quando i coeredi non riescono a trovare un accordo sulla spartizione dei beni e pertanto si tende a far partecipare al giudizio tutti i possibili eredi, compreso il concepito.
Il primo comma dell’art. 715 individua alcuni degli impedimenti alla divisione tra cui appunto la presenza di un figlio concepito ma non ancora nato, o la pendenza di un giudizio di accertamento sulla legittimità o sulla filiazione naturale del soggetto che sarebbe chiamato a succedere.
Alla luce di ciò il giudice della divisione ha sospeso il giudizio – ai sensi dell’art. 295 c.p.c. – nell’attesa che si definisse la questione relativa all’accertamento della paternità naturale, ritenendo come “pregiudiziale” rispetto all’esito del giudizio di divisione, l’accertamento del fatto paternità naturale, considerando che la divisione sarebbe stata condizionata dalla presenza di un ulteriore coerede.
L’ordinanza di sospensione è stata immediatamente impugnata dagli eredi mediante ricorso per regolamento di competenza.
I motivi di ricorso si svolgono su due piani: in primo luogo gli eredi contestano che non costituisce il necessario antecedente logico-giuridico per la decisione della causa, la statuizione sulla paternità naturale, e in secondo luogo, fanno rilevare che, pur trattandosi di fattispecie di impedimento, così come qualificata dall’art. 715 c.c., il giudice avrebbe potuto porre in essere i rimedi alternativi alla sospensione previsti dallo stesso articolo di legge.
La Cassazione esamina il difficile tema delle connessioni di cause per pregiudizialità e dipendenza. La pregiudizialità si ha quando la decisione della causa in corso dipende dalla soluzione di un’altra controversia da decidersi dallo stesso o da un altro giudice (C. Mandrioli Diritto processuale civile II Il processo di cognizione p. 331) e mira a evitare conflitti di giudicati nell’ipotesi che nelle due cause siano dedotti diritti tra loro incompatibili. Sul piatto della bilancia quindi vengono messi, da una parte l’arresto dell’iter processuale e il sacrificio in termini paralisi temporanea della funzione giudiziaria, imposto dalla sospensione necessaria del processo. Dall’altra parte, non risolvendo preventivamente la questione pregiudiziale – qualifica di erede – dovrà essere avviato un nuovo giudizio di divisione che metterà in discussione quanto già disposto.
Il caso di cui si è occupata la suprema Corte appare certamente come un caso di sospensione necessaria della causa. La Cassazione nel richiamare le proprie precedenti pronunce sostiene un’interpretazione restrittiva dell’art. 295 c.p.c. e cioè che la connessione per pregiudizialità non comporta in tutti i casi la sospensione necessaria del processo. Non basta l’esistenza di una coincidenza o di un’analogia di fatti o quesiti di diritto da accertare, ma occorre che la definizione della controversia “pregiudiziale”si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente, tanto da costituire un antecedente logico-giuridico ineliminabile (Cass., Sez. VI-1, 14 dicembre 2010, n. 25272; Cass., Sez. VI-2, 11 gennaio 2012, n. 170 e Cass. Civ. Sez. Un., 19 giugno 2012, n. 10027).
Con questo sistema la Corte sembra privilegiare il principio della rapida definizione dei giudizi, connessa al principio costituzionale del giusto processo di durata ragionevole.
Vero è che, come evidenziato, che l’art. 715 c.c. prevede una serie di rimedi alternativi al blocco della divisione ereditaria. Il secondo comma della disposizione prevede, infatti, che l’autorità giudiziaria possa ugualmente, anche in presenza degli impedimenti menzionati, autorizzare la divisione, adottando opportune cautele.
Le precauzioni di cui si parla possono essere individuate in cauzioni o garanzie o prudenziali accantonamenti, che possono essere utilizzati per integrazioni successive secondo l’esito della domanda di accertamento di filiazione naturale.
Inoltre, il ritardo nella divisione può comportare in certi casi la perdita di valore o la consistenza dell’asse ereditario.
In definitiva, con le opportune cautele, la divisione doveva essere autorizzata poiché l’incertezza riguardava una sola quota ereditaria, quella del figlio del de cuius da dividersi tra i nipoti legittimi eventualmente in concorso con la nipote naturale.
(Altalex, 18 ottobre 2012. Nota di Giuseppina Vassallo)