La sentenza n. 531/2014 della Corte di Cassazione (III Sez. civile) rappresenta un’ulteriore occasione per la Suprema Corte di chiarire le nozioni di “danno esistenziale” e “danno biologico”, locuzioni queste troppo spesso utilizzate in modo inopportuno o quanto meno inappropriato.
L’organo giurisdizionale, giudicando in merito ad una controversia sorta in seguito ad un grave incidente ai danni di un operario verificatosi per il cedimento di una piattaforma su cui lo stesso aveva preso posto, puntualizza che le espressioni “danno esistenziale” e “danno biologico” non esprimono distinte categorie di danno, tantomeno l’uno può considerarsi una sottocategoria dell’altro, trattandosi, piuttosto di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria di danno, che è quella del danno non patrimoniale, da identificarsi nel danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.
In realtà, quindi, nel caso di specie, sostiene la Corte non vi è alcuna incongruenza logica-giuridica nel fatto che i giudici del merito, abbiano riconosciuto il risarcimento del danno esistenziale e non già di quello biologico. Difatti, oltre a quanto già sostenuto in merito al carattere meramente descrittivo di siffatte locuzioni, si rammenta che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel procedere alla sistemazione della figura del “danno non patrimoniale” con le note sentenze di San Martino, hanno chiaramente affermato che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere “omnicomprensivo” del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a scapito del principio della “integralità” del risarcimento medesimo. Corollario di detto principio è che il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane) non costituiscono una conseguenza indefettibile in tema di lesione dei diritti della persona, occorrendo valutare, caso per caso, se il danno non patrimoniale, nella fattispecie concreta, presenti o meno siffatti aspetti. Il compito del giudice consiste, dunque, nell’accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio arrecato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e procedendo alla loro integrale riparazione.
Ne consegue che la mancanza di danno biologico non esclude la configurabilità in astratto di una danno morale soggettivo (da sofferenza interiore) e di un danno dinamico-relazionale, quale conseguenza, autonoma, della lesione medicalmente accertabile, che si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto. Inoltre quando il fatto lesivo ha profondamente alterato il complessivo assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia, provocando, come nel caso di specie, una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione all’esigenza di provvedere perennemente ai bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore apprestata dall’art. 2059 cod. civ. in caso di lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20324; Cass. 12 giugno 2006, n. 13546).