In tema di diritto alla corresponsione dell’assegno divorzile, il parametro della cd. “adeguatezza dei mezzi” rispetto al tenore di vita goduto, da uno dei coniugi, durante il matrimonio viene meno di fronte all’instaurazione, da parte di costui, di una nuova famiglia, ancorché di fatto.
E’ questo il principio di diritto posto alla base della sentenzadella Suprema Corte 18 novembre 2013, n. 25845.
1. Sul rapporto tra assegno di separazione e assegno divorzile
1. Preliminarmente: sul rapporto tra assegno di separazione e assegno divorzile
Sebbene sia innegabile che tanto l’assegno separatizio quanto l’assegno divorzile siano entità autonome e distinte, la base valutativa dell’argomentazione giudiziale attiene – tuttavia – al medesimo sostrato: la vita coniugale concretamente vissuta dai coniugi prima separandi e poi divorziandi. Non va, però, dimenticato che la giurisprudenza – pur equiparando i due assegni sotto il profilo della ratio – costantemente sottolinea la permanente differenziazione, considerato che l’assegno di divorzio presuppone lo scioglimento del matrimonio e, quindi, deve prescindere dagli accordi economici intervenuti tra i coniugi al momento della separazione. Infatti, da un lato, detto assegno é determinato sulla base dei criteri autonomi e distinti rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al coniuge separato; per altro verso, gli accordi economici interventi tra i coniugi al momento della separazione non possono spiegare efficacia preclusiva rispetto alla determinazione giudiziale dell’assegno divorzile medesimo, atteso che ove la causa di tali accordi fosse la liquidazione anticipata del richiamato “contributo mensile”, essi sarebbero nulli, sia per il fatto di essere sottratto alla disponibilità delle parti il potere di regolare in via preventiva gli effetti patrimoniali del divorzio, sia per l’illiceità della causa stessa, avendo i predetti accordi pur sempre l’effetto di condizionare il comportamento delle parti nel successivo giudizio concernente il relativo status. Basandosi, perciò, su criteri di liquidazione diversi, il regime patrimoniale concordato o deciso in sede di separazione é privo di significato; di conseguenza, la determinazione dell’assegno divorzile deve avvenire in base a criteri propri rispetto a quelli rilevanti per il trattamento del coniuge separato[1]. L’art. 5, L. 1 dicembre 1970, n. 898 vigente, statuisce – infatti – che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio, il tribunale – relativamente all’an debeatur – dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o, comunque, non può procurarseli per ragioni oggettive. Difatti, presupposto indefettibile é quello della inadeguatezza dei mezzi del coniuge beneficiario; inadeguatezza da rapportarsi, nello specifico, al tenore di vita che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione del cammino coniugale, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale[2].
2. La rilevanza della convivenza more uxorio nella valutazione dell’“adeguatezza dei mezzi” del coniuge beneficiario dell’assegno
Dovendosi tenere in debito conto tutti gli elementi patrimoniali suscettibili di permettere l’esatta individuazione della posizione degli ex coniugi, la giurisprudenza maggioritaria é orientata nel dare rilievo agli apporti derivanti al coniuge beneficiario dell’assegno da parte del conviventemore uxorio. Si ritiene, difatti, che in sede di accertamento del diritto all’assegno, la convivenza e, quindi, la prestazione di assistenza di tipo coniugale ad opera del “convivente” medesimo, costituisce elemento valutabile in ordine alla disponibilità del richiedente di “mezzi adeguati” rispetto al parametro – appunto – rappresentato dal tenore di vita goduto nel corso delle nozze[3]; naturalmente, dovrà trattarsi di apporti derivanti da una convivenza avente i caratteri della stabilità, della continuità e della regolarità. Nello specifico, invero, detti apporti possono condurre, a seconda (ovviamente) della loro misura, a ridurre o ad escludere del tutto il dirittode quo. Di conseguenza, una convivenza priva del requisito della stabilità non potrà avere effetto alcuno sull’esclusione e/o sulla riduzione del contributo al mantenimento.
(Altalex, 27 febbraio 2014. Nota di Maria Cristina Campagnoli)