Cassazione penale , sez. VI, sentenza 24.07.2014 n° 33023 (Barbara Vizioli)
In un procedimento di separazione coniugale veniva assegnata alla sig.ra R.M.A. la casa familiare con collocamento dei figli minori presso quest’ultima e con determinazione di un assegno di mantenimento per la moglie e per la prole.
Tuttavia, il marito, nonché padre di C. e A., interrompeva la corresponsione dell’assegno di mantenimento, così come disposto in sede di separazione, dal Dicembre 2004 fino al Marzo 2005 riprendendo poi a versarlo regolarmente nell’Aprile 2005.
Successivamente, dal Gennaio 2007 il marito ometteva la corresponsione dell’importo di € 315,00, a titolo di rata del mutuo acceso sulla casa coniugale, costringendo la moglie a ripianare il debito con la banca utilizzando la stessa somma che l’imputato le versava a titolo di mantenimento.
I Giudici di merito condannavano sia in primo che secondo grado l’imputato per il reato di cui all’art. 570 c.p., ravvisando nella condotta dello stesso gli estremi integrativi del reato contestato.
Il sig. L.G. proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello sulla base dei seguenti motivi di diritto:
In primis perché condannato per un fatto diverso da quello contestato nell’imputazione, che non faceva riferimento all’omesso pagamento della rata del mutuo;
In secundis per erronea applicazione degli artt. 570 e 47 c.p.
In particolare, il secondo motivo del ricorso si fondava sul fatto che i Giudici di merito non avevano correttamente valutato le ordinanze di rigetto dei ricorsi ex art. 700 c.p.c., proposti della moglie per ottenere la condanna del marito al pagamento delle rate del mutuo e delle spese condominiali straordinarie.
I giudici di prime cure avrebbero, dunque, dovuto considerare diversamente l’elemento soggettivo del reato, attesa l’incolpevole percezione della realtà da parte dell’imputato stesso di far mancare i mezzi di sussistenza alla propria famiglia, in considerazione che non vi era uno specifico obbligo di natura civilistica di pagare la rata del mutuo.
Il primo motivo veniva ritenuto inammissibile trattandosi di doglianza rimasta estranea all’interposto appello e sollevata per la prima volta con il ricorso in Cassazione.
Il secondo motivo veniva ritenuto infondato.
In tema di reati contro la famiglia, ed in particolare di reati tra coniugi, si rende necessario, di volta in volta, verificare se la condotta dell’un coniuge nei confronti dell’altro assuma connotati di tale gravità da costituire per il soggetto passivo fonte di stato di bisogno per far fronte ai bisogni primari.
L’art. 570 co. 2 n. 2 c.p. punisce, difatti, “chiunque fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.”
Per quanto attiene all’elemento oggettivo del reato, esso si realizza nella condotta di chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai soggetti indicati dalla norma.
Secondo la più recente giurisprudenza nella nozione penalistica di mezzi di sussistenza richiamata dall’art. 570 comma 2, n. 2 c.p., (diversa dalla più estesa nozione civilistica di mantenimento), nell’attuale dinamica evolutiva degli assetti e delle abitudini di vita familiare e sociale, devono ritenersi compresi non soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma altresì gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (ad es.: abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione) (Cass. Sez. 6, 13-11-2008/21-1- 2009 n. 2736).
Occorre evidenziare che il concetto di “mezzi di sussistenza” non è ancorato a quello dell’assegno di mantenimento ma si riferisce alle elementari esigenze di vita del soggetto passivo del reato.
L’ “assegno di mantenimento” attiene, invece, alla valutazione e comparazione delle condizioni socio-economiche di entrambi i coniugi al fine di tutelare un interesse economico e di credito.
E’ stato, infatti, statuito in giurisprudenza che “In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non vi è equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l’inadempimento civilistico, poiché la previsione normativa di cui all’art. 570 c. p. non fa riferimento a singoli o ritardati pagamenti, ma ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale l’agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la separazione.” (Cass. pen. Sez. VI, 04/02/2014, n. 15898).
Da un lato, dunque, per la configurabilità del reato in questione non è necessario che vi sia un obbligo civilistico di corrispondere determinate somme a titolo di mantenimento, essendo l’illecito in questione rapportato da un lato, alla sussistenza dello stato di bisogno dell’avente diritto e dall’altro al mancato apprestamenti dei mezzi di sussistenza da parte di chi, per legge, vi è obbligato; viceversa, il reato non può ritenersi automaticamente integrato con l’inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il Giudice penale deve valutarne in concreto la gravità, ossia l’attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende ad evitare.
L’art. 570 c.p. tutela, infatti, la solidarietà familiare, trovando la sua ratio nella protezione del soggetto indigente, che versa in stato di bisogno.
E’ ben possibile che anche in caso di totale adempimento dell’obbligato di quanto disposto in sede civile, l’avente diritto non veda ancora integralmente soddisfatti i propri bisogni e, perciò, l’obbligato è tenuto ad ulteriori somministrazioni al fine di non incorrere nella condotta sanzionata prevista dalla norma in esame.
In tema di violazione di assistenza familiare bisogna poi distinguere se l’avente diritto sia un minore o altro soggetto passivo.
Infatti, qualora la violazione dell’obbligo attenga all’assistenza rivolta ad un minore la condizione dello stato di bisogno è in re ipsa, in quanto si presume che il minore non sia in grado di provvedere a se stesso autonomamente, essendo privo della possibilità di avere una propria capacità reddituale. (Cass. Sez. 6, 2-5-2007 n. 20636; Cass. Sez. 6, 15-1-2004 n. 715).
Viceversa, qualora il trattamento economico omesso fosse rivolto al coniuge (o ad un ascendente o ad un soggetto inabile al lavoro) è necessario l’accertamento, da parte del Giudice penale, dell’effettivo stato di bisogno del soggetto passivo alla somministrazione dei mezzi di sussistenza.
Infatti, può accadere che nonostante l’inadempimento dell’obbligato, il beneficiario abbia comunque mezzi propri per far fronte ai bisogni primari.
Fondamentale diviene l’esame dell’elemento soggettivo del reato previsto dall’art. 570 comma 2, n. 2 c.p. che, ai fini della sua configurazione, richiede il dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi di assistenza che discendono dalla qualità di coniuge o di genitore. (Cass. Pen. 33025/2014; Cass. pen. 185/1993; Trib. Firenze Sez. II 19/06/2013; App. Palermo Sez. IV, 05/12/2013).
Ne discende che non è necessario che condotta dell’agente, che nel caso di specie si manifesta nella forma omissiva rispetto all’adempimento del proprio obbligo, venga posta in essere dell’obbligato con l’intenzione e la volontà di far mancare i mezzi di sussistenza agli aventi diritto.
Nel caso in esame i Giudici di merito e di legittimità hanno riscontrato un inadempimento serio e sufficientemente protratto (e destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici della moglie.
L’imputato, infatti, pur riprendendo a versare le somme stabilite dal Giudice civile in favore del coniuge, ha tuttavia omesso di contribuire al pagamento del mutuo per l’abitazione, in questo modo privando sostanzialmente la moglie del contributo per il mantenimento, che è stato distratto per il pagamento del mutuo.
In conclusione, gli ermellini, nel confermare le precedenti pronunce da parte del Tribunale di Avellino e della Corte di Appello di Napoli, hanno ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 570 c.p. in capo al sig. L.G. statuendo il seguente principio di diritto: “tra i mezzi di sussistenza deve ricomprendersi anche l’alloggio familiare sicché è responsabile del reato previsto dall’art. 570 c.p. anche il coniuge che con la sua condotta rischia di far perdere alla moglie e ai figli la casa in cui vivono: in altri termini la “casa di abitazione” rientra tra i mezzi di sussistenza che devono essere assicurati al coniuge e ai minori” (cfr., Sez. 6, 1 ottobre 1986, n. 12989, Pasquali).