Riconoscimento di paternità: senza l’ascolto del minore il giudizio è nullo
Cassazione civile , sez. I, sentenza 07.10.2014 n° 21101 (Giuseppina Vassallo)
L’ascolto del minore è oggi posto alla base di tutte decisioni che lo riguardano e nel caso di un procedimento di riconoscimento, in cui vi è opposizione dell’altro genitore, è ancor più evidente la necessità di procedere ad acquisire la sua opinione. Costituisce violazione del principio del contradittorio e del giusto processo, il mancato ascolto del minore, se il giudice non motiva espressamente sull’assenza di discernimento del minore infraquattordicenne, poiché lo stesso è portatore d’interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, e pertanto, è qualificabile come parte in senso sostanziale.
La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 7 ottobre 2014, n. 21101 ha annullato la sentenza della Corte di Appello di Brescia, perché nel procedimento per il riconoscimento di paternità, cui si era opposta la madre, non era stata sentita la figlia minore infraquattordicenne.
Il Tribunale di Bari aveva autorizzato il padre naturale a procedere al riconoscimento della figlia nata nel matrimonio tra la madre e il di lei marito, il quale in seguito aveva ottenuto l’annullamento del matrimonio e aveva pure ottenuto il disconoscimento della paternità nei confronti della minore.
Nel corso di quel giudizio era emerso che all’epoca del concepimento, la madre intratteneva una stabile relazione con il presunto padre naturale che ora desiderava stare con la figlia e farle da padre.
La madre si era opposta al riconoscimento della figlia da parte dell’uomo, sostenendo che all’epoca del concepimento, aveva intrattenuto rapporti anche con altri uomini per cui la paternità non era certa. Inoltre il riconoscimento sarebbe stato contrario agli interessi della minore a causa dei legami affettivi che si erano formati fra la stessa e l’attuale marito della madre, considerato come padre, tanto che era stato iniziato un procedimento di adozione della minore.
La Corte d’Appello bresciana ha ritenuto prevalente il diritto della figlia di conoscere la verità circa il proprio padre biologico, che aveva mostrato una seria intenzione di avere parte attiva nella vita della figlia e di voler prendersi cura di lei, respingendo le richieste della madre.
Con ricorso alla Corte suprema la donna lamenta che non siano stati disposti prelievi ematici volti a dimostrare la paternità biologica della minore e che la sola esistenza di rapporti fra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale come disposto dall’art. 269 c.c.
Quanto alla scelta di fare prevalere l’interesse all’accertamento della verità della paternità, così detto “favor veritatis”, rispetto al “favor legitimitatis”, ossia il diritto alla conservazione dello status di figlio inserito nella famiglia, questa non troverebbe riscontro nelle disposizioni che tutelano l’interesse del minore, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità.
Infine si denuncia la violazione dell’art. 250 c.c., in relazione alla mancata audizione della figlia minore. In base a questa disposizione di legge, il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso.
Se il figlio non ha compiuto i quattordici anni, il riconoscimento non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore.
Qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, il presunto padre può agire in giudizio per ottenere una sentenza che tiene luogo del consenso mancante. La norma è stata di recente modificata dalla Legge 219/2012 prevedendo un procedimento che ricalca il procedimento monitorio.
Infatti, il giudice fisserà un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore e se non è proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, viene emesso il provvedimento che tiene luogo del consenso negato.
Se viene proposta opposizione, il giudice assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, se giudicato capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore e al suo cognome.
L’art. 250 c.c. disciplina, dunque, un procedimento volto a ottenere una pronuncia che sostituisca il consenso dell’altro genitore e non prende in esame questioni relative alla veridicità o meno del riconoscimento, che possono invece essere oggetto di pronuncia successiva mediante l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità disciplinato dall’art. 263 c.c.
Sulla mancata audizione della minore, ha invece errato la Corte di Appello, poiché l’ascolto del minore è oggi posto alla base di tutte decisioni che lo riguardano.
Si tratta di un principio generale – sancito dalla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, in quella di Strasburgo del 1996, e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Questo principio è stato recepito, in un primo momento nell’art. 155 sexies c.c., introdotto con la L. 8 febbraio 2006, n. 54. La Legge 219/2012 e il successivo D.Lgs. 154/2013 hanno espressamente previsto il diritto del minore a essere ascoltato nelle diverse e specifiche procedure (art. 336 c.c., comma 2, art. 336 bis c.c., art. 337 octies c.c.).
La Cassazione ricorda che “l’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in relazione al loro affidamento ai genitori, era già divenuta obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996, ratificata con la Legge n. 77/2003, per cui, anche prima della riforma della filiazione, la giurisprudenza era orientata nel senso della doverosità dell’ascolto da parte del giudice, salvo che arrecasse danno al minore (Cass. Civ. Sez. un., sentenza 21 ottobre 2009, n. 22238) e in tal caso deve fornire adeguata motivazione (Cass. Civ., 11 agosto 2011, n. 17201).
Nel caso di un procedimento di riconoscimento è ancor più evidente la necessità di procedere all’ascolto del minore. Ciò non vuol dire che il parere del minore debba coincidere con la valutazione del giudice, ma in tal caso quest’ultimo avrà un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore. In questa circostanza l’interesse ad essere riconosciuto può non coincidere con quello del genitore. In passato, le Sezioni unite della Cassazione (Cass. Civ., sentenza 21 ottobre 2009, n. 22238), hanno precisato che, in materia di affidamento, costituisce violazione del principio del contradittorio e del giusto processo, il mancato ascolto del minore, se il giudice non motivi espressamente sull’assenza di discernimento, poiché lo stesso è portatore d’interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, e pertanto, è qualificabile come parte in senso sostanziale.
Prima della riforma, che ha riconosciuto al minore la qualità di parte in determinati procedimenti, la Corte Costituzionale (sent. n. 83/2011, ord. n. 301/2011), aveva affermato, che al minore “va riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di opposizione di cui all’art. 250 c.c.”, di regola rappresentata dal genitore che per primo ha compiuto il riconoscimento. Per tale motivo, in caso di concreto un conflitto d’interesse con il genitore rappresentante, poteva essere nominato un curatore speciale, ai sensi della norma generale di cui all’art. 78 c.p.c.
La Cassazione aveva aderito all’interpretazione costituzionalmente orientata della norma (Cass. Civ., sentenza 13 aprile 2012, n. 5884, Cass. Civ., sentenza 24 dicembre 2013, n. 28645), e con la sentenza in esame conferma il precedente orientamento.
La sentenza di appello è dunque viziata da errore procedurale poiché, stante l’età della minore nata nel 2002, e quindi in grado di esprimere la propria volontà in merito alla questione, i giudici di merito avrebbero dovuto indicare le ragioni specifiche dell’incapacità della minore ad essere ascoltata.