Tribunale Reggio Emilia, sez. II civile, sentenza 23.10.2014 n° 1392 (Nicola Virdis)
L’ente gestore di una strada non risponde del danno causato da una situazione di pericolo estemporanea o da una alterazione imprevedibile dello stato delle cose, non eliminabile nell’immediatezza ma solo successivamente, quando il danno stesso si sia verificato nel lasso temporale necessario ad intervenire.
E’ questo il principio affermato dal Tribunale di Reggio Emilia, che ha così respinto la richiesta di risarcimento promossa da un automobilista nei confronti dell’ente gestore delle autostrade, in relazione ai danni subìti a seguito dello scontro con un blocca-container abbandonato sulla sede stradale.
L’attore aveva invocato la responsabilità dell’ente, in via principale, per omessa custodia ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., in subordine, per la presenza di una “insidia” o “trabocchetto” ai sensi dell’art. 2043.
Per meglio comprendere i termini della questione, è utile ricordare che il tema della responsabilità della p.a. per i danni da omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche è stato oggetto di una lunga evoluzione giurisprudenziale.
Un primo orientamento, per lungo tempo maggioritario, ha ricondotto la responsabilità della p.a. al paradigma dell’art. 2043 cod. civ.: nell’esercizio del suo potere discrezionale (anche nella vigilanza e controllo dei beni di natura demaniale), la p.a. incontra limiti derivanti dalle norme di legge o di regolamento, dalle norme tecniche e da quelle di comune prudenza e diligenza; in particolare, la p.a. incontra il limite posto dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere, in forza della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, un pericolo cioè non visibile e non prevedibile – e quindi non evitabile con l’ordinaria diligenza -, che dia luogo al cd. “trabocchetto” o insidia stradale (cfr. fra le più recenti, Cass. Cass. Sez. III, 26 maggio 2004 n. 10132; Cass. Sez. III, 28 gennaio 2004 n. 1571); con la precisazione che la non visibilità assume rilievo oggettivo, mentre la non prevedibilità ha carattere soggettivo (cfr. Cass. Sez. III, 5 luglio 2001 n. 9092; Cass. Sez. III, 14 gennaio 2000 n. 366).
La figura dell’insidia o trabocchetto, intesa inizialmente come mero elemento sintomatico dell’attività colposa dell’amministrazione, è poi divenuta indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della p.a., la cui prova è stata posta a carico dello stesso danneggiato (si vedano, ad es., Cass. Sez. III, 4 giugno 2004, n. 10654; Sez. III, 30 luglio 2002, n. 11250).
Un secondo orientamento, sviluppatosi a partire dagli anni ’80-’90, criticando la teoria dell’insidia o trabocchetto, ha ricondotto la fattispecie nell’ambito della responsabilità da custodia, disciplinata dall’art. 2051, c.c.: la p.a., proprietaria della strada, è anche custode della stessa; ne discende che, se vuole andare esente da responsabilità, dovrà essa stessa provare che il danno subito dall’utente si è verificato per caso fortuito (v. ex multis Cass. Sez. III, 3 giugno 1982, n. 3392; Sez. III, 23 gennaio 1988, n. 723; Sez. III, 20 novembre 1998, n. 11749). Dal lato suo l’utente non deve dimostrare l’esistenza di una situazione di insidia, né una condotta commissiva o omissiva del custode, ma deve solo provare l’evento-danno ed il nesso di causalità con la cosa (id est la strada).
Vi è poi un orientamento intermedio, secondo il quale la presunzione di responsabilità della p.a. per il danno cagionato dalle cose in custodia si applica non sempre, con riguardo ai beni demaniali, ma solo a determinate condizioni:
solo se tali beni non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dalla p.a. in situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo (v. Cass. Sez. III, 30 ottobre 1984, n. 5567) oppure;
quando si tratti di beni demaniali o patrimoniali che per la loro limitata estensione territoriale consentano una adeguata attività di vigilanza sugli stessi (Cass. Sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2067).
Tra le numerose pronunce di legittimità reperibili in tema di responsabilità per danni connessi all’uso e alla custodia delle strade, merita qui segnalare due importanti sentenze della Terza Sezione, le quali – dopo aver ripercorso, con dovizia di riferimenti giurisprudenziali e dottrinali, le principali tappe che hanno segnato l’evoluzione dell’attività interpretativa in materia -, giungono a conclusioni diverse in merito alla natura della responsabilità del custode:
1) Sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3651 (rel. Scarano): vi si afferma sostanzialmente che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia configura una speciale fattispecie di responsabilità colposa; l’art. 2051 determinerebbe un’ipotesi di responsabilità colposa presunta (non già di responsabilità oggettiva), caratterizzata cioè dalla inversione dell’onere della prova; il custode ha la possibilità di liberarsi dalla responsabilità presunta a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito, “dando cioè, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce cui fanno peraltro riscontro corrispondenti obblighi di vigilanza, controllo e diligenza (i quali impongono di adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi, con lo sforzo adeguato alla natura e alla funzione della cosa e alle circostanze del caso concreto) nonché in ossequio al principio di c.d. vicinanza alla prova, la dimostrazione che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso”.
Il custode dovrebbe provare la propria mancanza di colpa nella verificazione del sinistro (non la mancanza del nesso causale), che si risolve sostanzialmente raffrontando lo sforzo diligente in concreto dovuto e la condotta (caratterizzata da assenza di colpa) mantenuta.
Sul piano del fortuito possono assumere rilievo (anche) i caratteri dell’estensione e dell’uso diretto della cosa da parte della collettività; caratteri che, estranei alla struttura della fattispecie, possono valere ad escludere la presunzione di responsabilità qualora il custode dimostri che l’evento dannoso presenta i caratteri dell’imprevedibilità e della inevitabilità non superabili con l’adeguata diligenza, nonché l’evitabilità del danno solamente con l’impiego di mezzi straordinari.
2) La qualificazione della responsabilità per custodia in termini di colpa presunta è criticata da Sez. III, 6 luglio 2006, n. 15383 (rel. Segreto); in questa pregevole pronuncia, arricchita da un vasto repertorio giurisprudenziale e da dotti riferimenti alla dottrina francese e anglosassone, la Terza Sezione ribadisce che la responsabilità delineata dall’art. 2051 ha carattere oggettivo: essa richiede solo la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, mentre non rileva la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.
Questa ricostruzione è oggi condivisa dalla giurisprudenza maggioritaria, ormai concorde nel riconoscere natura oggettiva alla responsabilità di cui all’art. 2051.
La responsabilità è quindi esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile ma al profilo causale dell’evento; il fortuito si riconduce non alla cosa in sé ma ad un elemento esterno, avente i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante.
La custodia si identifica in una potestà di fatto, che descrive un’attività esercitabile da un soggetto sulla cosa in virtù della detenzione qualificata.
Responsabile del danno proveniente dalla cosa non è il proprietario, come nei casi di responsabilità oggettiva di cui agli artt. 2052, 2053 e 2054 ultimo comma (cioè per danni da vizi di costruzione o difetto di manutenzione), ma il custode della cosa.
E’ dunque la relazione di fatto, e non semplicemente giuridica, tra il soggetto e la cosa che legittima l’affermazione di responsabilità, fondandola sul potere di “governo della cosa”; la sola relazione giuridica tra il soggetto e la cosa non dà ancora luogo alla custodia (ma la fa solo presumere), allorchè la relazione di fatto intercorra con altro soggetto qualificato che eserciti la potestà sulla cosa (ad esempio il concessionario).
Tale “potere di governo” si compone di tre elementi: il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi, il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno (Cass. Sez. III, n. 15383/2006 cit.; nello stesso senso, nella giurisprudenza di merito, si veda Tribunale di Piacenza, 26 maggio 2011, n. 458 [estensore dott. Morlini]).
La possibilità o l’impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante vigilanza non si atteggiano univocamente in relazione a tutti i tipi di beni demaniali, ma vanno accertati in concreto da parte del giudice di merito.
Per i beni del demanio stradale, si è precisato che la possibilità in concreto della custodia va verificata non solo in relazione all’estensione delle strade, ma anche alle loro caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico di volta in volta appresta e che, in larga misura, condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti (Cass., Sez. III, n. 3651/2006 cit.).
Ad esempio, per le autostrade, che sono naturalmente destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento circa l’effettiva possibilità del controllo in base ai parametri sopra ricordati conduce in genere a conclusioni affermative; cioè a ravvisare la sussistenza di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all’art. 2051 (Cass. Sez. III, 15 gennaio 2003, n. 488).
Nella giurisprudenza più recente, peraltro, si tende sempre più a valorizzare non solo e non tanto l’estensione dei beni o la possibilità di un effettivo controllo su di essi, quanto piuttosto la causa concreta (natura e tipologia) del danno:
se il danno è stato determinato da cause intrinseche alla cosa, come il vizio di costruzione o di manutenzione, la p.a. ne risponde ai sensi dell’art. 2051;
se invece la p.a. dimostra che il danno è stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili nè eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, essa è liberata da responsabilità; queste cause estrinseche integrano quindi il caso fortuito richiesto dall’art. 2051 (cfr. Cass. Sez. III, 6 giugno 2008, n. 15042; Sez. III, 25 luglio 2008, n. 20427; Sez. III, 3 aprile 2009, n. 8157 ecc.).
Si pensi al caso di danni provocati da oggetti pericolosi perduti o abbandonati sulla pubblica via: ad es., è stata affermata la responsabilità dell’ente gestore per i danni derivati dalla mancata rimozione di fango e detriti trasportati sulla sede stradale da piogge torrenziali avvenute alcuni giorni prima; la presenza di fango e detriti, dopo le precipitazioni, non poteva costituire caso fortuito, ma rappresentava un fattore di rischio conosciuto o conoscibile (Cass. Sez. III, sentenza 18 ottobre 2011, n. 21508).
Si pensi ancora al caso della macchia d’olio, “assolutamente emblematico della […] situazione riguardante i beni demaniali, nella quale è destinata a presentarsi più spesso l’occasione di qualificare come fortuito il fattore di pericolo creato occasionalmente da terzi, che abbia esplicato le sue potenzialità offensive prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode” (così Cass. Sez. III, 26 giugno 2012, n. 10643).
Venendo più da vicino alla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che si annota, essa si conforma all’orientamento oggi dominante, secondo cui la responsabilità della p.a. ex art. 2051 ha natura oggettiva: il custode (nella fattispecie, l’ente gestore delle autostrade) non è responsabile se prova che il fatto si è verificato per caso fortuito.
Come il medesimo giudice estensore ha avuto modo di chiarire in altre apprezzate pronunce (fra tutte si vedano, oltre alla già citata Tribunale di Piacenza, 26 maggio 2011, n. 458, anche Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 22 gennaio 2009, n. 85), l’oggettiva impossibilità di controllo si pone come limite alla configurabilità della custodia.
La custodia presuppone il potere di governo della res; se l’esistenza della custodia non può essere a priori esclusa in relazione alla natura demaniale del bene, neppure può essere ritenuta in ogni caso sussistente anche quando vi è l’oggettiva impossibilità di tale potere di controllo del bene, che è il presupposto necessario per la modifica della situazione di pericolo.
In altri termini, se il potere di controllo è oggettivamente impossibile, non vi è custodia, e quindi non vi è responsabilità della p.a. ai sensi dell’art. 2051, poiché manca un elemento costitutivo della custodia (cioè la controllabilità della cosa); residuerà, se del caso, una responsabilità secondo l’ordinario paradigma di cui all’art. 2043; con la doverosa precisazione che insidia o trabocchetto costituiscono solo elementi sintomatici della responsabilità pubblica, ma niente esclude che la responsabilità si possa in concreto configurare anche in un diverso comportamento colposo dell’amministrazione; del resto, “limitare aprioristicamente la responsabilità della P.A. per danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, alle sole ipotesi della presenza di insidia o trabocchetto, non trova alcuna base normativa nella lettera dell’art. 2043 c.c., e rappresenterebbe quindi un’indubbia posizione di privilegio per la parte pubblica (in questo senso, cfr. Cass. n. 23277/2010, Cass. n. 18204/2010 e Cass. n. 5445/2006)” (Trib. Piacenza n. 458/2011 cit.).
Nel caso in esame, il Tribunale di Reggio Emilia ha respinto la domanda di risarcimento proposta dall’automobilista, evidenziando come questi avesse ammesso che l’ostacolo sulla carreggiata era stato rimosso dopo venti minuti dalla segnalazione.
Si è quindi trattato di una situazione pericolosa che si è venuta a creare in modo improvviso e imprevedibile, alla quale l’ente gestore ha tempestivamente posto rimedio in soli venti minuti dalla segnalazione ricevuta.
L’incidente stradale, verificatosi proprio in questo ristretto lasso di tempo, va perciò ricondotto al caso fortuito.
Richiamando il costante insegnamento giurisprudenziale formatosi proprio in tema di responsabilità per danni da difetto di custodia, il Tribunale di Reggio Emilia afferma che “la verificazione di una situazione pericolosa non prevedibile integra gli estremi del fortuito qualora il danno si sia verificato nell’intervallo temporale in cui la situazione si è esteriorizzata, prima che la doverosa e diligente attività di sorveglianza e controllo l’abbia rimossa o segnalata nel tempo strettamente necessario a provvedere”.
D’altro canto, osserva in chiusura il Tribunale, la presenza del caso fortuito (il quale opera sul piano del rapporto causale, recidendo ogni nesso tra custodia e danno) esclude in radice la possibilità di configurare una responsabilità ai sensi dell’art. 2043, dato che non è ravvisabile in concreto alcun profilo di colpa nella condotta del gestore.