Cassazione civile , sez. III, sentenza 13.02.2015 n° 2847 (Giuseppina Mattiello)
La responsabilità medica conseguente alla mancata ottemperanza agli obblighi informativi è ricollegabile ad una condotta omissiva del medico, in termini di mancata somministrazione di informazioni adeguate, e non ad una condotta attiva dissuasiva.
È questo, in termini brevi, il principio espresso dalla Suprema Corte nella presente sentenza.
Nella fattispecie in esame, due genitori di una bambina affetta da sindrome di Down lamentavano che, pure a fronte di espressa richiesta di rilascio di impegnativa per amniocentesi o per ulteriori o differenti esami volti a conoscere l’esistenza di anomalie o malformazioni del feto, i medici convenuti ne avevano escluso la necessità, in ragione dei connessi rischi abortivi e in assenza di precedenti familiari. Con l’ovvia conseguenza che alla gestante veniva precluso l’esercizio del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza (artt. 6 e 7 L. n. 194 del 1978).
Osserva la Suprema Corte che, in materia, costituisce principio consolidato che la responsabilità medica, conseguente alla mancata ottemperanza agli obblighi informativi, ha carattere contrattuale e non precontrattuale, di talchè‚ a fronte dell’allegazione, da parte del paziente, dell’inadempimento di siffatti obblighi, il medico è gravato dell’onere della prova di avere adempiuto alla relativa obbligazione.
Altrettanto consolidata è poi la massima secondo cui l’informazione deve essere completa, senza che si possa presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo queste incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve comunque sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e adeguate al livello culturale del destinatario.
Ma, dalla ricostruzione dei fatti di cui è causa, è emersa più che una condotta omissiva dei due medici evocati in giudizio (id est, la mancata somministrazione, da parte degli stessi, di informazioni adeguate), una condotta attiva dissuasiva, che non rileva ai fini di tale forma di responsabilità.
Con specifico riferimento alla posizione di uno dei medici, a giudizio della Suprema Corte, correttamente la Corte d’appello ha valorizzato la sua qualità di medico di base, scriminando tout court le allegate resistenze del professionista al rilascio di una impegnativa per amniocentesi senza che si fosse prima pronunciato uno specialista. Ed, invero, rientra proprio nei doveri informativi del buon sanitario allertare il paziente sui pericoli connessi all’espletamento di indagini invasive, invitandolo a consultare, prima di prendere una decisione definitiva al riguardo, l’esperto del settore.
Quanto alla ginecologa, i rilievi degli impugnanti sono inficiati dall’errore prospettico di fondo di dare per scontato ciò che il giudice di merito ha ritenuto non provato: e cioè che la ginecologa avesse distolto la gestante dalla diagnosi amniocentesica con l’assunto (errato) del superamento dei tempi tecnici entro i quali lo stesso poteva essere utilmente effettuato.
Per tali ragioni il ricorso è stato rigettato.