La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2167 del 2016 ha affrontato il tema della quantificazione del danno non patrimoniale a seguito di un sinistro stradale. Per meglio comprendere il senso della pronuncia citata è opportuno ripercorrere, in via preliminare, seppur brevemente, lo svolgimento del processo.
La trattazione della Suprema Corte ha preso le mosse da un ricorso presentato dalla vittima di un sinistro stradale avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia che la vedeva soccombente. Nel secondo grado di giudizio la Corte ha confermato la sentenza del giudice di prime cure, il quale aveva rigettato la domanda della donna che chiedeva il risarcimento dei danni patiti anche alla propria compagnia assicuratrice pur avendone già ottenuto il ristoro dalla compagnia assicuratrice di colui che aveva provocato l’incidente. In entrambi i gradi di giudizio, è stato ritenuto che la somma liquidata in favore della donna, come danno patrimoniale e non patrimoniale, fosse del tutto soddisfacente delle lesioni subite.
Avverso la pronuncia della Corte d’Appello, è stato proposto, dalla donna, ricorso in Cassazione, basato su ben 5 motivi.
Il primo e il secondo motivo si fondano sulla “omessa e/o insufficiente” motivazione e “difetto” della stessa nella sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.1 n. 5 c.p.c.
Il terzo motivo si sofferma, invece, sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ex art. 360 c.1 n.3 c.p.c.
Il quarto, a sua volta, mette in discussione l’equità della valutazione del danno affermata in primo grado e confermata poi in appello, sempre per difetto di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.
Infine, il quinto denunzia l’errato utilizzo delle tabelle di quantificazione del danno, ex art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. poiché la liquidazione non sarebbe stata comprensiva di interessi e rivalutazione; peraltro, si contesta l’utilizzo delle Tabelle di Milano non aggiornate alla data di emissione della sentenza.
La Corte, nell’esaminare quanto sopra esposto, per questioni di logicità, è partita dal 4° e 5° motivo, riportandosi, per esporre e corroborare la propria analisi interpretativa, ad altre sue pronunce in cui aveva affermato la necessità, nel quantificare il danno non patrimoniale, di ricorrere all’equità. Questa, difatti, rappresenta l’unica via per addivenire ad una “compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio (cfr. Cass. 7/6/2011, n. 12408).
La valutazione equitativa, precisa la Corte, non deve soffermarsi sull’esistenza o meno del danno ma esclusivamente sulla sua quantificazione, sotto il profilo economico, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto che, come è facile intuire, sono molteplici e differenti in ogni situazione (cfr. Cass. 11/5/2010 n.11368; Cass. 31/5/2003 n.8828). Proprio per tale ragione, si parla di congruità del ristoro del danno, intesa come adeguatezza e proporzione, che dovrà essere quanto più possibile vicina all’integrale risarcimento (cfr. Cass. 17/4/2013 n.9231), tenendo conto di tutte le varie voci di danno subito (ovviamente se ve ne è prova), sottoposte necessariamente al libero apprezzamento del giudice, a prescindere dal loro preventivo inquadramento in una determinata categoria.
La Corte di Cassazione, con grande chiarezza, fa presente l’imprescindibilità della valutazione equitativa nel determinare il valore del danno la quale, seppur rispondendo a criteri di elasticità e flessibilità, allo stesso tempo, deve fondarsi su dei parametri prestabiliti, onde evitare che lo stesso tipo di lesione venga valutato in maniera differente da soggetto a soggetto, rischiando così di venir meno ad uno dei cardini del nostro sistema giuridico e cioè l’uguaglianza sostanziale, oltre che alla prevedibilità della decisione (cfr. Cass. 23/1/2014 n.1361; Cass. 7/6/2011, n.12408).
Le voci o parametri per i danni non patrimoniali da sinistri stradali, cui più volte si è rimandato, sono inseriti all’interno di tabelle, giudiziali o normative, utilizzate per consentire al giudice di effettuare concretamente una valutazione equitativa del danno, ai sensi dell’art.1226 cc.
E’ utile tener presente che per la liquidazione delle invalidità micropermanenti, in tema di responsabilità civile da circolazione stradale, è intervenuto il legislatore con il d.lgs. 209/2005 mentre per quelle macropermanenti o per altre lesioni non disciplinate dal suddetto decreto, i giudici fanno normalmente ricorso a tabelle elaborate nella prassi. Tale metodo è stato avallato dalla Corte di Cassazione pur sempre nei limiti di proporzione e adeguatezza già esposti.
Con l’innovativa sentenza n. 12408/2011 la Suprema Corte ha ritenuto che le tabelle elaborate dai giudici di Milano disponessero dei parametri più validi sotto il profilo equitativo in ambito nazionale e, pertanto, ad esse si sarebbero dovuti ispirare tutti gli altri giudici nella determinazione del quantum per ristorare le lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%).
Un primo orientamento degli Ermellini sulla possibilità o meno di controllare in sede di legittimità la quantificazione del danno concessa, inizialmente, per soli vizi di motivazione, è stato superato con le sent. 20/5/2015 n. 10263 e 18/11/2014 n. 24473 sulla scorta delle quali è ora possibile contestare anche la congruità di una motivazione che “non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire”.
Inoltre, secondo quanto asserito nella sentenza odierna, va considerata errata la liquidazione in misura pari ad un frazione dell’importo liquidato a titolo di danno biologico poiché non consente di controllare l’iter logico seguito dal giudice nella sua quantificazione.
Le tabelle di Milano, come tutti gli altri parametri adottati in sede di valutazione del danno da sinistro stradale, sono mutevoli nel tempo e, pertanto, occorre che vengano aggiornate; ne consegue che, un Tribunale che applichi le tabelle esistenti al momento dell’instaurazione del procedimento e non quelle vigenti al momento della conclusione dello stesso, incorre in un grave errore, così come accaduto per la Corte d’Appello di Brescia.
La suddetta pur avendo la facoltà di discostarsi dalle tabelle di Milano, avrebbe dovuto fornire alle parti una congrua motivazione per tale scelta invece ha omesso di fornire qualsivoglia indicazione circa gli standards, i criteri ispiratori e le modalità di calcolo adottati sia in secondo che in primo grado.
Per i motivi esposti, ritenendo assorbite tutte le altre questioni, la Corte ha correttamente accolto il ricorso proposto dalla vittima dell’incidente, cassando la sentenza, rinviandola, anche per le spese di giudizio in Cassazione, alla Corte d’Appello di Brescia, sancendo così la indispensabilità per il giudice di una valutazione equitativa basata sulle Tabelle milanesi, ai fini della determinazione del danno non patrimoniale risarcibile a seguito di sinistro stradale.