Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 22/09/2016 n° 18569
E’ di indubbia evidenza che, nello svolgimento dell’iter processuale, l’individuazione del momento a partire dal quale cominciano a decorrere i termini per l’impugnazione di una sentenza costituisce una questione di assoluta centralità.
Pertanto, nell’ipotesi in cui la sentenza oggetto d’impugnazione rechi in calce due annotazioni, riportanti ciascuna una data, la prima delle quali indicata come data di deposito, la seconda come data di pubblicazione, ci si è chiesti in quale delle due vada identificato il dies a quo necessario ai fini della decorrenza del cd. termine lungo di impugnazione.
La tematica, già oggetto di una copiosa e spesso non univoca giurisprudenza, è stata di recente affrontata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18569 del 22 settembre 2016.
Evidenziando sin da subito che la “sciagurata consuetudine” (così definita dagli ermellini) di apporre una doppia data in calce alle sentenze civili si è posta di frequente all’attenzione dell’interprete, la Corte intraprende la sua analisi ripercorrendo l’evoluzione giurisprudenziale registratasi sul tema.
Già negli anni 70, infatti, le stesse Sezioni Unite erano state chiamate a pronunciarsi in proposito: il riferimento è alla sentenza n. 3501 del 1979, nella quale si affermava che il termine per l’impugnazione di cui all’articolo 327 c.p.c. decorresse dalla pubblicazione della sentenza, dovendosi intendere come tale il momento del suo deposito in cancelleria, a nulla rilevando, invece, il momento della comunicazione dell’avvenuto deposito della sentenza alla parte costituita.
Più di recente, con la sentenza n. 13794 del 2012, le Sezioni Unite, ancora una volta interpellate sull’argomento, ribadivano che la pubblicazione della sentenza coincide con il momento in cui il cancelliere ne certifica il deposito, apponendo la data di quest’ultimo in calce alla medesima.
Escluso, dunque, che il cancelliere potesse attestare che una sentenza, di cui si fosse già debitamente certificato il deposito, potesse considerarsi pubblicata in una data successiva, gli ermellini concludevano affermando che, nell’ipotesi in cui fossero state apposte in calce alla sentenza due date, la prima delle quali indicata come data di deposito, solo a quest’ultima poteva farsi riferimento ai fini della decorrenza degli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza, tra i quali la decorrenza del termine di impugnazione.
L’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite nel citato arresto non veniva, tuttavia, condiviso da una parte della giurisprudenza: precisamente, la seconda sezione civile della stessa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26251 del 2013, rimetteva alla Corte Costituzionale il compito di verificare la compatibilità del sopra esposto approccio ermeneutico con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost.
Dichiarata l’infondatezza della questione sottopostale, con sentenza n. 3 del 2015, la Corte costituzionale non si asteneva, inoltre, dall’entrare nel merito del dibattito.
Più in particolare, la Corte definiva “una patologia procedimentale grave” quella di apporre in calce alla sentenza civile due date diverse: ciò in ragione, non solo, della rilevante incidenza sulle posizioni giuridiche degli interessati ma, soprattutto, in quanto determinante ambiguità e dubbi in un momento processuale, quale quello dell’impugnazione, di massima importanza.
Esposti i diversi orientamenti caratterizzanti il panorama giurisprudenziale in materia, le Sezioni Unite, nella sentenza de qua, proseguono analizzando il contenuto dell’articolo 133 c.p.c., il quale, com’è noto, stabilisce che la pubblicazione della sentenza si effettua mediante il deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata.
Orbene, già da un approccio meramente letterale si deduce, secondo i Giudici di Piazza Cavour, che la pubblicazione non costituisce una tappa successiva rispetto al deposito della sentenza, bensì si identifica con esso, rappresentando il deposito il mezzo attraverso il quale la sentenza viene resa pubblica, di talchè non sarebbe ipotizzabile che il cancelliere possa autonomamente pubblicare la sentenza in una data diversa e successiva da quella del deposito.
La scelta legislativa di identificare il momento della pubblicazione della sentenza con quello del suo deposito si spiega, evidenzia la Cassazione, alla luce di un’esigenza peculiare: quella di far dipendere importanti conseguenze collegate alla pubblicazione della sentenza – quali la decorrenza dei termini di impugnazione e di formazione del giudicato – da un atto di volizione del giudice, che si identifica nella scelta di depositare la sentenza in cancelleria, alla luce della ritenuta completezza della medesima.
Tale meccanismo, si evidenzia, garantisce la pubblicità necessaria alla conoscibilità della sentenza, in quanto il deposito in cancelleria consiste non in una traditio brevi manu della sentenza attestata dal cancelliere, bensì nell’inserimento di quest’ultima nell’elenco cronologico delle sentenze esistente presso la cancelleria, accompagnato dall’assegnazione alla sentenza di un numero identificativo. E’ da tale momento che la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cd. termine lungo per la sua impugnazione.
Ciò posto, le Sezioni Unite concludono nel ritenere che, nell’ipotesi in cui il cancelliere apponga in calce alla sentenza due date diverse (una di deposito, l’altra di pubblicazione), il giudice, al fine di determinare il dies a quo del termine lungo di impugnazione e, di conseguenza, stabilire la tempestività nonché l’ammissibilità dell’impugnazione, dovrà accertare il momento in cui è avvenuto l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificazione.
È in tale momento, infatti, che si verifica il deposito ufficiale della sentenza e, dunque, la pubblicazione della sentenza-
Tale verifica potrà essere svolta in diversi modi: in primo luogo mediante un’istruttoria documentale, consistente nel richiedere alla cancelleria del giudice a quo un’attestazione della data di iscrizione della sentenza nell’elenco cronologico; in secondo luogo, in difetto di prova documentale, il giudice potrà ricorrere alla presunzione semplice di cui all’articolo 2729 c.c.; in terzo luogo, potrà trovare applicazione la regola di giudizio di cui all’articolo 2697 c.c., attribuendo all’impugnante l’onere di provare la tempestività della propria impugnazione.