Con la sentenza in commento, la terza sezione della Corte di Cassazione torna ad occuparsi della sanzione che colpisce il contratto di locazione allorquando il locatore, proprietario, non provveda alla registrazione secondo quanto previsto all’art. art. 1, comma 346, della Legge 30 dicembre 2004, n. 311.
La norma infatti stabilisce che ‘i contratti di locazione sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati’.
Nonostante la chiarezza del dato normativo, la giurisprudenza ha proposto impostazioni ermeneutiche discordanti sul punto, incidendo notevolmente sulle azioni esperibili dal locatario.
Secondo una prima impostazione, condivisa dalla Corte di Appello di Bologna nel caso di specie, il contratto di locazione non registrato sarebbe valido ma inefficace; ciò in quanto la registrazione rappresenterebbe una condicio iuris di efficacia del contratto la cui assenza non è idonea a inficiare il contratto in termini di validità. Ne consegue che l’inefficacia del contratto non esime l’occupante dall’obbligo di pagamento del canone pattuito, come corrispettivo della detenzione intrinsecamente irripetibile.
Tale impostazione, tuttavia, non è condivisa da quanti sostengono che il dato normativo prescriva chiaramente la sanzione della nullità per il contratto stipulato ma non registrato e, pertanto, che il locatore sia tenuto alla restituzione di tutti i canoni versati dal locatario in forza di un titolo invalido.
Con la sentenza in commento, la terza sezione della Corte di Cassazione consolida quest’ultimo approccio ermeneutico valorizzando essenzialmente il dato letterale della norma scrutinata, che testualmente cita la sanzione della nullità.
Oltre all’argomento letterale, la Corte di Cassazione rileva altresì un’argomentazione di ordine sistematica (sistematico).
Invero, a sostegno di tale conclusione, i giudici richiamano la sentenza 5 dicembre 2007, n. 420 della Corte Costituzionale, dove si afferma che l’art. 1 co. comma 346 della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 ha elevato “la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.”
Pertanto, dall’erronea qualificazione del vizio del contratto di locazione da parte della Corte di appello di Bologna, derivano due evidenti errori della sentenza impugnata.
Il primo errore concerne “l’avere ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 1458 c.c., norma che disciplina la risoluzione per inadempimento dei contratti di durata, e non gli effetti della nullità, i quali sono invece disciplinati dalle norme sull’indebito oggettivo, da quelle sul risarcimento del danno aquiliano (nel caso di sussistenza degli altri presupposti dell’illecito extracontrattuale), ovvero da quelle sull’ingiustificato arricchimento, come misura residuale”.
Il secondo errore, invece, riguarda “l’avere equiparato l’obbligo di pagare il canone, scaturente dal contratto e determinato dalle parti, con l’obbligo di indennizzare il proprietario per la perdita disponibilità dell’immobile, scaturente dalla legge e pari all’impoverimento subito”.
In conclusione, la sentenza in commento rappresenta un intervento ermeneutico che si pone in perfetta armonia con l’obiettivo del legislatore di sanzionare ogni attività contrattuale che si riveli elusiva degli obblighi tributari e contrastante con i principi di ordine pubblico economico.