Con la sentenza in questione la Corte di Cassazione ha affermato due principi d’interesse in materia di legittimazione ad impugnare della parte civile, in particolare statuendo che “la parte civile non è legittimata ad impugnare la condanna generica al risarcimento del danno quando non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile circa l’entità del danno risarcibile“; e che “la sentenza di condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica può essere impugnata dalla parte civile solo quando ad essa corrisponda una diversa ricostruzione del fatto storico“.
La vicenda
La pronuncia scaturisce da una vicenda processuale che si era conclusa con la condanna in grado di appello del titolare di un’impresa individuale, reo di avere importato per farne commercio 38.200 borse recanti marchio contraffatto.
Il giudice di prime cure aveva assolto l’imputato dal fatto originariamente contestato ai sensi dell’articolo 474 c.p. assumendo che il pubblico non avrebbe potuto esser tratto in inganno sulla provenienza del bene, attesa la palese diversità del marchio impresso sulle borse rispetto a quello originale.
I Giudici distrettuali, invece, rilevando che dalle fotografie in atti apparisse evidente tra i due diversi prodotti la somiglianza e che questa fosse sufficiente per l’integrazione dell’art. 517 ter avevano ritenuto la sussistenza dell’ipotesi di reato di cui all’articolo 517 ter c.p., e condannato l’imputato anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi separatamente.
La sentenza veniva impugnata con ricorso per cassazione oltre che dall’imputato anche dalla parte civile lamentandosi, da parte di quest’ultima, la diversa qualificazione del fatto in quanto idonea ad incidere sulla differente quantificazione del danno da risarcire.
La sentenza della Corte
L’impugnazione della parte civile ha offerto il destro alla Corte di cassazione per affrontare un profilo di interesse in ordine alla legittimazione ad impugnare della stessa allorquando non si possa parlare, come nel caso di specie, di soccombenza, avendo la sentenza genericamente condannato l’imputato al risarcimento in suo favore.
Pacifico essendo che la legittimazione a impugnare sussiste ai sensi dell’articolo 576 c.p.p., comma 1, quando alla parte civile il risarcimento sia stato negato o sia stato concesso in misura inferiore a quella richiesta o comunque quando in generale la parte civile non abbia visto soddisfatte in tutto o in parte le proprie pretese, nel caso di condanna generica, invece, secondo la Corte non si può prescindere dagli effetti che essa produce nel processo civile per le restituzioni e il risarcimento del danno secondo quanto prevede l’articolo 651 c.p.p.
Ciò in quanto, come chiarito dalle Sezioni Unite civili, “la sentenza penale di condanna passata in giudicato, la quale fa stato, ai sensi dell’articolo 651 c.p.p., in ordine all’accertamento del fatto, alla sua rilevanza penale ed alla sua commissione, può non essere sufficiente ai fini del riconoscimento dell’esistenza del diritto al risarcimento del danno quando il fatto, avente rilevanza penale, non si configuri come “reato di danno”; al contrario, nel caso in cui il giudicato penale di condanna riguardi un reato appartenente a tale categoria, l’esistenza del danno è implicita e, conseguentemente, non può formare oggetto di ulteriore accertamento, negativo o positivo, in sede civile, se non con riferimento al soggetto od ai soggetti che lo abbiano subito o alla misura di esso” (Sez. Un. Civ., n. 4549 del 25/02/2010, Rv. 611796).
La questione dell’incidenza, a fini risarcitori, della diversa qualificazione giuridica del fatto deve perciò, secondo la Corte, essere correttamente impostata alla luce dei principi e considerazioni che precedono. Se la diversa qualificazione giuridica deriva da una diversa ricostruzione del fatto, quel che vincola il giudice civile in sede risarcitoria non è la qualificazione giuridica data al fatto in sede penale, bensì il fatto stesso nella sua dimensione illecita la cui diversa ricostruzione la parte civile è legittimata a contestare; se la diversa qualificazione giuridica accede al fatto immutato nella sua sussistenza e consistenza storica, la parte civile non è legittimata a dolersene poichè tale diversa qualificazione non vincola il giudice civile.
In altre parole ciò che rileva per il giudice civile non è tanto il reato o, meglio, la qualificazione giuridica penalistica del fatto concreto, ma il fatto illecito nella misura in cui abbia cagionato un danno risarcibile: pertanto, se in sede di riqualificazione del fatto la ricostruzione di quest’ultimo rimanga incontestata, la parte civile non può dolersene perchè rimane incontestato il profilo di suo interesse.
Orbene, nel caso all’esame della Corte, il fatto storico attribuito all’imputato era rimasto uguale a se stesso in entrambi i gradi di giudizio; il minimo comune denominatore delle decisioni dei Giudici di merito era stato la concorde e pacifica esclusione della riproduzione fedele o alterazione del marchio. Poiché la diversa qualificazione del fatto storico non comporta una diversa ricostruzione del fatto, che rimane incontestata, la condanna generica e la diversa qualificazione giuridica data al fatto dal giudice penale non sono idonei a vincolare il giudice civile nell’accertamento della sussistenza e consistenza del cd. danno-conseguenza e la parte civile non è legittimata ad impugnare la sentenza.
Di qui i principi di diritto di cui sopra, e la declaratoria di inammissibilità del ricorso.