La Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza della V Sezione Penale, n. 12603 del 15 marzo 2017, ha analizzato la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la ex convivente e un terzo soggetto, conservata nell’archivio di posta elettronica della medesima.
La disputa è tra l’applicazione dell’art. 616 del codice penale, che punisce chiunque prenda cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta , ovvero, in tutto o in parte, la distrugge, sopprime o, senza giusta causa, ne rivela, in tutto o in parte, il contenuto, e la fattispecie di cui all’art. 617 del codice penale, che punisce, oltre la cognizione, anche l’interruzione o l’impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone o comunque a lui non dirette.
Analizziamo i fatti. Si parte dall’impugnazione della sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano, che conferma, anche agli effetti civili, la condanna di S.G. per i reati di accesso abusivo ad un sistema informatico, cognizione fraudolenta di comunicazioni, sostituzione di persona, diffamazione aggravata ed appropriazione indebita dell’hard disk di un computer marca IBM, mentre, in parziale riforma della pronunzia di primo grado ha assolto l’imputato dalla concorrente imputazione di appropriazione indebita di un computer marca Dell, provvedendo conseguentemente a rimodulare il trattamento sanzionatorio e l’entità dei risarcimenti disposti in favore delle parti civili. La vicenda riguarda l’invio a più persone nell’agosto del 2008, facendo apparire come mittente B.F., di una email dal contenuto lesivo della reputazione di C.V., all’epoca convivente dell’imputato, cui venivano allegati alcuni messaggi intercorsi tra la suddetta C.V. e il citato B.F. dei quali l’imputato, S.G., aveva fraudolentemente preso cognizione accedendo abusivamente alla casella di posta elettronica della prima, nonché l’appropriazione indebita del sopra indicato hard disk, facente parte di un computer di proprietà dell’Università IULM e in uso all’imputato nella sua qualità di dipendente della stessa e in particolare di coordinatore dell’assistenza tecnica informatica.
Ricorre per Cassazione l’imputato, il quale, tra altri motivi, deduce l’errata applicazione della legge penale in merito ai reati contestati. Quanto all’accesso abusivo al sistema informatico invero il ricorrente lamenta vizi della motivazione in merito alla prova della sussistenza del reato, atteso che la stessa sentenza riconosce come la C.V. avesse autorizzato in specifiche occasioni l’imputato a leggere la sua posta o ad utilizzare il suo indirizzo per inviare email. Sotto altro profilo eccepisce invece l’erronea concorrente qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 617 anziché dell’art. 616 c.p., posto che il quarto comma di tale ultima disposizione annovera espressamente nella nozione di “corrispondenza” anche quella informatica.
La Corte di legittimità ritiene fondate le censure concernenti la qualificazione giuridica del fatto ritenuto integrare il reato di cui all’art. 617 comma 1 c.p.
Pur nell’ambito di una non nitida sistematica quale è quella che caratterizza le incriminazioni poste a tutela della inviolabilità delle comunicazioni, deve ritenersi che la possibile interferenza tra le fattispecie punite dagli artt. 616 e 617 c.p.(determinata dalla comune previsione della condotta di colui che prende cognizione della corrispondenza o delle comunicazioni altrui) sia solo apparente. In realtà le stesse hanno ambiti operativi ben definiti dalla diversa configurazione dell’oggetto materiale della condotta, anche indipendentemente dalle specifiche connotazioni modali che la caratterizzano nell’art. 617 e che invece non sono previste nell’art. 616. Orbene, non è dubitabile che sul piano concettuale la “corrispondenza” costituisca null’altro che una species del genus “comunicazione”, ma è altrettanto indubbio che nell’ambito dell’art. 617 c.p. quest’ultimo termine non identifichi il genus nella sua astratta omnicomprensività, ma assuma un significato maggiormente specializzato, riferibile al profilo “dinamico” della comunicazione umana e cioè alla trasmissione in atto del pensiero, come suggeriscono anche l’ulteriore termine dispiegato per definire l’oggetto materiale del reato (“conversazione”) e le condotte alternative a quella di fraudolenta cognizione idonee ad integrare il fatto tipico (interrompere ed impedire).
Allo stesso modo, nell’art. 616 c.p., l’evocazione del concetto di “corrispondenza” risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo “statico” e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale ed anche in questo caso il contenuto delle altre condotte tipizzate alternativamente a quella di illecita cognizione (sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere) conforta le conclusioni rassegnate.
In tal senso, conclude la Corte, la condotta contestata all’imputato – e cioè aver preso cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la C.V. ed il B.F. conservata nell’archivio di posta elettronica della prima – proprio in virtù della configurazione del suo oggetto materiale, deve essere ricondotta all’alveo dell’art. 616 commi 1 e 4 c.p. e non già, come ritenuto dai giudici di merito, a quello degli art. 617 comma 1.
Dall’analisi del caso si può dedurre facilmente una interessante ricostruzione dei parametri in base ai quali distinguere le fattispecie rientranti nell’art. 616 c.p. e quelle di cui all’art. 617 c.p. La Corte afferma con certezza che sul piano concettuale la “corrispondenza” costituisce null’altro che una species del genus “comunicazione”, ma che è altrettanto indubbio che nell’ambito dell’art. 617 c.p. quest’ultimo termine non identifichi il genus nella sua astratta omnicomprensività, ma assuma un significato maggiormente specializzato, riferibile al profilo “dinamico” della comunicazione umana e cioè alla trasmissione in atto del pensiero, mentre nell’art. 616 c.p., l’evocazione del concetto di “corrispondenza” risulta invece funzionale ad individuare la comunicazione umana nel suo profilo “statico” e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale.