La Corte di Cassazione, con ordinanza 11 luglio 2017, n. 17139, ha confermato la decisione della Corte territoriale sul diniego di aggiunta del cognome paterno per un minore di dodici anni che si era opposto in tal senso.
Il padre, cittadino italiano, aveva richiesto di aggiungere il proprio cognome a quello della madre, cittadina svizzera. In sede di audizione del minore, questi aveva affermato “di non volere né sostituire, né aggiungere il cognome del padre al proprio” specificando chiaramente: “il cognome è personale e accompagna per tutta la vita. Ho vissuto per dodici anni con questo cognome e non voglio averne altri”.
I giudici avevano dato rilevanza alla volontà espressa dal figlio.
Ricorrendo in Cassazione contro il provvedimento, il padre ha dedotto la violazione dell’art. 262 c.c. poiché la Corte d’appello avrebbe violato il principio di uguaglianza e di pari dignità morale e giuridica dei genitori.
La norma, modificata dalla Legge 219/2012, riguardante l’acquisizione del cognome per i figli nati fuori del matrimonio, prevede che il figlio, riconosciuto successivamente dall’altro genitore, possa aggiungere, sostituire o anteporre al cognome materno quello paterno.
La disposizione tutela il diritto del figlio a mantenere il cognome precedentemente attribuito se questo sia divenuto autonomo segno della sua identità personale.
Nel caso di minore età del figlio, è il giudice che decide circa l’assunzione del cognome del genitore, dopo aver sentito il figlio minore che ha compiuto i dodici anni.
Secondo la Cassazione, il motivo di ricorso è inammissibile perché la ratio della norma non va individuata nell’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori del matrimonio quanto più analoga a quella del figlio di coppia coniugata.
Secondo la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, i criteri per l’attribuzione del cognome del minore riconosciuto in tempi diversi dai genitori, si fondano sul suo esclusivo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale.
Al giudice spetta il compito di valutare tutti gli elementi del caso concreto prescindendo da qualsiasi meccanismo di automatica assegnazione del cognome dell’uno o dell’altro genitore, mettendo al centro non tanto l’interesse dei genitori, quanto quello del minore ad essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui si trova inserito.
La Corte Costituzionale è più volte intervenuta sulla questione della prevalenza del patronimico nella legislazione italiana, al fine di escludere ogni tipo di automatismo nell’attribuzione del cognome nell’ambito della filiazione naturale (C. Cost. n. 61/2006).
Nel caso di specie, la Corte d’appello si è ispirata alla tutela dell’interesse del ragazzo con lo scopo di evitargli turbamento e sofferenza.
L’imposizione del cognome paterno, anche solo in aggiunta a quello materno, avrebbe causato al minore un grave disagio, anche alla luce del suo rifiuto di frequentare il padre.
La Cassazione ribadisce che tale apprezzamento è frutto di un potere ampiamente discrezionale del giudice, insindacabile se non si rilevano difetti motivazionali nel provvedimento.
Inammissibile anche il secondo motivo. Non c’è violazione di norme procedurali nell’avere i giudici disposto l’audizione diretta del minore invece che una CTU psicologica, la quale è un mezzo istruttorio. Rientra nel potere discrezionale del giudicante la scelta di ordinare la nomina dell’ausiliario.