Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse sull’interessante questione della compatibilità del risarcimento punitivo con il sistema giuridico italiano, offrendo sagaci spunti di riflessione de iure condito e de iure condendo.
La vicenda prende le mosse dal contenzioso sorto intorno al riconoscimento di una sentenza statunitense in cui, a detta di una delle parti, era prevista una condanna per danni punitivi, che secondo un risalente orientamento della Corte di Cassazione non potrebbero trovare riconoscimento nel sistema italiano, essendo contrari all’ordine pubblico (Cass. n. 1183/07).
Le Sezioni Unite, ritenendo il ricorso infondato/inammissibile, hanno affrontato comunque la questione ex art. 363 c. 3 c.p.c., in quanto l’interrogativo posto risultava di particolare importanza: è possibile, nel sistema italiano, prevedere il pagamento di una somma superiore a quella strettamente necessaria a reintegrare il danno, al precipuo fine di infliggere una pena al danneggiante?
Secondo gli ermellini, deve essere superato il “carattere monofunzionale della responsabilità civile” costituito dalla finalità reintegratoria del risarcimento – per riportare il danneggiato allo status quo ante il danno – a cui fa riferimento l’impostazione classica (Cass. n. 1183/07).
Già in altre occasioni, infatti, le Sezioni Unite “hanno messo in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento” (Cass. SS.UU. 9100/15).
Accanto alla “preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria” si riconosce adesso una “natura polifunzionale che si proietta verso più aree”, tra cui le principali sono quella preventiva e quella sanzionatorio-punitiva: l’istituto dei risarcimenti puntivi “non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano”.
A conferma di tale conclusione, la Corte elenca numerosissime disposizioni legislative in vigore ormai da anni e che costituiscono chiare ipotesi sanzionatorie (punitive) ricollegate ad un comportamento foriero di un danno ingiusto (cfr pag. 18 e 19 della sentenza).
Secondo gli ermellini, anche la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto da tempo una concezione polifunzionale della responsabilità civile, la quale risponde soprattutto a un’esigenza di effettività della tutela (Cort. Cost. 303/11, Cort. Cost. 152/16, Cort Cost. 238/14).
Tanto, si badi bene, “non significa che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria “consenta ai giudici di accentuare liberamente le condanne, liquidando oltre la somma necessaria a ristorare il danno patito.
Come noto, infatti, ogni prestazione personale esige una “intermediazione legislativa” in ossequio al principio di riserva di legge stabilito dall’art. 23 della Costituzione e, dunque, nel sistema italiano la condanna al pagamento di una somma ulteriore a quella strettamente necessaria per ristabilire lo status quo ante (risarcimento punitivo) è configurabile solo e soltanto se vi è una norma ad hoc che, nella fattispecie, lo prevede.
In altri termini i danni punitivi sono configurabili nell’ordinamento italiano ma, pur essendo riconosciuti dal sentire giuridico comune (tanto da trovare riconoscimento in alcune specifiche norme) non possono considerarsi immanenti al sistema della responsabilità civile di cui all’articolo 2043 c.c. e non trovano applicazione tout court, costituendo ancora un’eccezione che, in quanto tale, deve essere legittimata da una specifica previsione legislativa. Spetta al legislatore, pertanto, decidere in quali casi sia possibile configurare un risarcimento punitivo.
Proprio sulla base di tale presupposto, viene astrattamente riconosciuta la possibilità di delibazione nel sistema italiano di una sentenza straniera che preveda la condanna ad un risarcimento punitivo.
In tal caso, il controllo che dovrà essere svolto dai giudici italiani sarà quello di accertarsi che nell’ordinamento straniero tale condanna sia pronunciata su “basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna”. Il concetto di “ordine pubblico” quale limite per la delibazione della sentenza, infatti, deve essere riletto in un ottima più permeabile, cercando il punto di equilibrio tra il controllo sull’ingresso di norme o sentenze straniere contrarie all’ordinamento giuridico interno e una funzione promozionale dei valori tutelati dal diritto internazionale.