Quando una persona fisica subisce una lesione nel fisico o nella psiche si realizza il danno biologico, che deve essere risarcito in quanto l’integrità fisica è un bene costituzionalmente garantito.
1. Nozione |
Al fine di comprendere il concetto di danno biologico bisogna partire dalla premessa che l’integrità della persona è bene primario, che deve essere tutelato giuridicamente non solo quando la menomazione abbia compromesso, totalmente o parzialmente, definitivamente o temporaneamente, le capacità del soggetto di attendere alle sue ordinarie occupazioni produttive, ma in tutte le ipotesi in cui la menomazione abbia determinato un depauperamento del valore biologico dell’individuo.
Per impostare correttamente la problematica connessa al danno biologico è necessario dunque enunciare il postulato secondo il quale alla persona deve essere riconosciuto un valore patrimoniale, indipendentemente dallo svolgimento di un’attività lavorativa o produttiva.
L’uomo in quanto persona deve essere sempre tutelato dall’ordinamento giuridico a prescindere dal reddito o dal lucro che possa trarre dall’impiego delle sue energie fisiche o intellettive. La lesione di natura biologica è di per sé un quid che intacca l’integrità fisica o psichica dell’uomo e costituisce quindi un danno che deve essere giuridicamente riparato, allorquando sia la conseguenza di un comportamento doloso o colposo imputabile ad altri. Il diritto di ogni persona alla salute, intesa in senso ampio come integrità fisiopsichica, è riconosciuto e protetto in tutti gli ordinamenti giuridici.
Nel nostro ordinamento vanno ricordate le seguenti principali disposizioni: art. 32 della Costituzione; artt. 2043 e 2059 del codice civile; artt. 581, 582, 590 del codice penale; le norme sulla tutela del lavoratore contenute nella L. 300/70; la L. 833/78, istitutiva del servizio sanitario nazionale e le successive modifiche.
Va ricordato che anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 88 del 1979 ha affermato che il bene della salute risulta direttamente tutelato dall’art. 32 della Costituzione non solo nell’interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Tuttavia la stessa sentenza sembra ricondurre il danno alla salute nell’ambito dei danni non patrimoniali, risarcibili solo ai sensi dell’art. 2059.
La dottrina e la giurisprudenza tradizionali sostengono questa tesi adombrata dalla Corte.
In particolare, secondo la Corte di Cassazione “Il danno biologico consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica. In particolare, la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette “tabelle” (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice.” (Sentenza 12/05/2006, n. 11039).
Parte della dottrina, invece, premettendo una diversa nozione di danno patrimoniale, ritiene che la salute è un bene valore che fa parte del patrimonio del soggetto e la sua violazione, qualora sia imputabile ad altri a titolo di dolo o di colpa, deve dar luogo al risarcimento del danno il quale, considerato in se stesso, prescindendo dalle sue eventuali ripercussioni psichiche, non può non avere che natura patrimoniale (ALPA).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel procedere alla sistemazione della figura del “danno non patrimoniale” con le note sentenze di San Martino, hanno chiaramente affermato che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere “omnicomprensivo” del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a scapito del principio della “integralità” del risarcimento medesimo. Corollario di detto principio è che il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane) non costituiscono una conseguenza indefettibile in tema di lesione dei diritti della persona, occorrendo valutare, caso per caso, se il danno non patrimoniale, nella fattispecie concreta, presenti o meno siffatti aspetti. Il compito del giudice consiste, dunque, nell’accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio arrecato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e procedendo alla loro integrale riparazione.
Ne consegue che la mancanza di danno biologico non esclude la configurabilità in astratto di una danno morale soggettivo (da sofferenza interiore) e di un danno dinamico-relazionale, quale conseguenza, autonoma, della lesione medicalmente accertabile, che si colloca e si dipana nella sfera dinamico-relazionale del soggetto. Inoltre quando il fatto lesivo ha profondamente alterato il complessivo assetto dei rapporti personali all’interno della famiglia, provocando, come nel caso di specie, una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione all’esigenza di provvedere perennemente ai bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore apprestata dall’art. 2059 cod. civ. in caso di lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto.
In altri termini le espressioni “danno esistenziale” e “danno biologico” non esprimono distinte categorie di danno, tantomeno l’uno può considerarsi una sottocategoria dell’altro, trattandosi, piuttosto di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria di danno, che è quella del danno non patrimoniale, da identificarsi nel danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20324; Cass. 12 giugno 2006, n. 13546; Cass. 14 gennaio 2014, n. 531).
Storicamente al fine del risarcimento del danno biologico si sono succedute diverse posizioni dottrinarie e giurisprudenziali.
Secondo una prima impostazione, allorquando si debba accertare l’entità del danno patrimoniale subito da una persona che svolga attività lavorativa retribuita, deve essere applicato il criterio fondato sul reddito del danneggiato. Non si ritiene che tale criterio sia in contrasto con l’art. 3 della Costituzione perché, se è vero che ai sensi dell’art. 36 della medesima Carta Costituzionale, la retribuzione è commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, non può dubitarsi che il danno, il quale incida su attività lavorative diverse e su redditi diversi, deve essere risarcito in modo diverso.
D’altra parte è stato osservato che il criterio di valutazione basato sul guadagno non è da solo sufficiente ai fini della liquidazione del danno dovendosi valutare anche la percentuale di invalidità provocata.
Nell’ipotesi in cui il danneggiato non goda di reddito lavorativo si parla di reddito figurato che per la casalinga si calcola in base alla sua collaborazione nella famiglia, per il disoccupato in base alla prospettive di lavoro, per il bambino in base al costo della sua educazione e del suo allevamento. In questa ipotesi, però, è stato proposto di applicare per analogia l’art. 4 legge 27 febbraio 1977 n. 39, secondo il quale i criteri di liquidazione del danno alla persona sono due: il primo è fondato sulla capitalizzazione del reddito di lavoro; il secondo, valevole quando il soggetto non ha reddito, impone di porre a base del calcolo un reddito comunque non inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale.
Questa impostazione è stata criticata perché, se il diritto alla salute deve essere considerato come voce autonoma, al di là delle conseguenze che la violazione ha prodotto sull’attitudine a esprimere reddito, non si può ammettere che una medesima lesione porti a somme risarcitorie assai distanti tra loro proprio per effetto dell’eccessivo (se non unico) rilievo del reddito percepito. Si tratta, in effetti, di un criterio destinato a riprodurre in sede di risarcimento quelle disuguaglianze economico-sociali che è disegno costituzionale rimuovere (art. 3 Costituzione).
Avverso la soluzione differenziata per reddito effettivo o presumibile del danneggiato, si è formata la giurisprudenza genovese (sentenze degli anni 74-75) che, nell’attuare un criterio egualitario per età e per sesso, ha utilizzato la nozione di reddito nazionale pro capite. Si è affermato che il danno alla salute in sé considerato deve essere valutato e quindi liquidato in termini esattamente uguali per tutte le persone, salvo a tener conto delle rispettive età, e a tal fine si è indicata la possibilità di far riferimento al reddito medio nazionale, l’ultimo ufficialmente noto al momento in cui si deve operare la liquidazione.
Sotto la spinta di recenti proposte dottrinarie, diversa è stata la strada intrapresa dalla giurisprudenza toscana che, ribadendo ora la necessità di risarcire la menomazione in quanto tale ora l’autonomia concettuale del danno alla salute, sottolinea l’opportunità di una liquidazione equitativa. Questa indubbiamente ha il vantaggio della flessibilità e del maggior adeguamento alle esigenze e circostanze della fattispecie concreta, ma ha bisogno di essere precisata. Invero non può consistere in un’operazione arbitraria, ma in una valutazione discrezionale, che tenga conto delle particolarità esistenziali della persona, cioè di quelle esigenze connaturate alla sua personalità ed attinenti quindi al suo libero sviluppo (particolare sarà il danno alle orecchie per un musicista). In tal modo la liquidazione del danno viene fortemente individualizzata, personalizzata, senza però far riferimento, almeno in via principale, al reddito di lavoro.
Tuttavia il tema del risarcimento del danno è in continua evoluzione e particolare attenzione deve essere prestata ai più recenti orientamenti giurisprudenziali tesi ad assicurare una tutela che sia al tempo stesso adeguata al caso concreto ed uguale per tutti.
Si può dire ormai raggiunto il convincimento in base al quale in caso di lesione alla persona il risarcimento del danno va liquidato prendendo in considerazione innanzitutto il danno biologico in senso stretto, inteso come menomazione della integrità psicofisica, in sé considerata, prescindendo dagli ulteriori riflessi economici, da valutare nel rispetto del principio di uguaglianza, in quanto il bene salute è riconosciuto dalla Costituzione a tutti gli individui in misura eguale (artt. 2 e 3).
Come già rilevato, un importante orientamento giurisprudenziale accoglie il criterio della liquidazione secondo equità, conforme alle disposizioni normative del codice qualora manchino criteri obiettivi per la esatta quantificazione del pregiudizio considerato (Cassazione 4 settembre 1990, n. 9118).
Tuttavia il ricorso all’equità determina ingiustificate disparità di trattamento, a seconda dei principi adottati da ciascun singolo giudice che possono condurre a risultati diversi anche in relazione a casi analoghi (RODOTA’).
Per ovviare a tale inconveniente la giurisprudenza di merito milanese ha elaborato e diffuso delle tabelle di calcolo, frutto di un’operazione di ricerca compiuta da presidenti e giudici di varie sezioni interessate. Queste tabelle nascono dal confronto tra i vari criteri elaborati dai giudici di tribunale che si sono occupati della materia del danno alla persona e tendono alla affermazione di criteri uniformi che superino le diversità dei parametri usati presso vari uffici ed eliminino le conseguenti incertezze tra gli operatori e le possibili disparità di trattamento.
Più di recente anche la giurisprudenza di merito romana ha elaborato delle tabelle di calcolo che presentano alcune differenze rispetto a quelle milanesi, difatti per la invalidità permanente va considerato che Roma ha tre voci, quella base che non contiene le voci del c.d. danno morale e di quello esistenziale e due voci ulteriori, una minima ed una massima, personalizzate in relazione a tali aspetti di danno, mentre Milano ha solo due voci, minima e massima, entrambe con tali contenuti.
Ultimamente la Suprema Corte (Cass. 06 marzo 2014 n. 5243) ha ribadito che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l’applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento, anche attraverso la cd. personalizzazione del danno (Cass., Sez. Un., n. 26972/08).
La Corte di Cassazione ritiene che possano essere un valido criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., le tabelle per la liquidazione del danno biologico elaborate dal Tribunale di Milano, laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione, anche per le lesioni derivanti dalla circolazione stradale, che abbiano determinato una percentuale di invalidità superiore al 10% (Cass. n. 12408/11).
Il Collegio, difatti, sostiene l’incongruità della motivazione basata sulla sola liquidazione tabellare del danno biologico, perché ottenuta con l’impiego di tabelle delle quali la Corte non ha reso nota la provenienza (e, quindi, nemmeno controllabili i criteri di elaborazione) e comunque elaborate in modo da non considerare tutte le componenti non patrimoniali di questa tipologia di danno, tanto da rendere necessario un incremento, la cui quantificazione non appare adeguatamente supportata dalle risultanze processuali.
Detta incongruità consegue proprio alle ragioni per le quali la Corte ha ritenuto di preferire come parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno biologico le tabelle milanesi. Tra queste ragioni, oltre alla “vocazione nazionale” evidenziata dal già richiamato precedente n. 12408/11, vi è soprattutto quella data dal fatto che le “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico – fisica” del Tribunale di Milano sono state rielaborate all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008. In particolare, esse hanno determinato il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente, procedendo ad un aumento dell’originario punto tabellare in modo da includervi la componente già qualificata in termini di “danno morale”, che si usava liquidare separatamente (nei sistemi tabellari antecedenti la pronuncia n. 26972 /08) con operazione che le Sezioni Unite hanno ritenuto non più praticabile. L’affermazione delle Sezioni Unite secondo cui siffatta componente rientra nell’area del danno biologico, del quale, ogni sofferenza fisica o psichica per sua natura intrinseca costituisce componente, non può certo essere intesa nel senso che di essa non si debba tenere conto a fini risarcitori.
Inoltre, in materia di lesioni di lieve entità (micropermanenti) si ricorda che la Corte Costituzionale con sentenza n. 235 del 16 ottobre 2014 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 in quanto Il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona ed il dovere di solidarietà (di cui, rispettivamente, al primo e secondo comma dell’art. 2 Cost.) comporta che non sia risarcibile il danno per lesione di quei diritti che non superi il «livello di tollerabilità» che ogni persona inserita nel complesso contesto sociale deve accettare in virtù del dovere di tolleranza che la convivenza impone. Di conseguenza il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dall’art. 139 cod. ass. va condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata.
3. Liquidazione del danno biologico
Nel concreto il danno biologico viene liquidato con riferimento a due voci:
1. La invalidità temporanea che consiste nel numero di giorni necessari per la guarigione e per il ritorno alla normale attività. Si ricorda che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15385/2010, confermando un precedente orientamento, si è pronunciata per l’esclusione della liquidazione della invalidità temporanea a seguito di un sinistro, se nel frattempo il danneggiato ha regolarmente percepito le retribuzioni. «..questa Corte Suprema ha affermato, nulla compete a titolo di risarcimento del danno da invalidità totale temporanea al lavoratore che – rimasto infortunato per fatto illecito del terzo – abbia continuato a percepire durante il periodo di invalidità l’intera retribuzione dal proprio datore di lavoro, dato che, sotto questo specifico profilo, nessuna diminuzione si è prodotta nella sfera patrimoniale dell’infortunato, salva restando la prova, a carico del lavoratore, di avere subito altri pregiudizi economici (Cass. Civ., sentenze 11 ottobre 1995, n. 10597, 15 aprile 1993, n. 4475, 10 ottobre 1988, n. 5465 ed altre)».
2. La invalidità permanente che viene, ormai, liquidata con riferimento, appunto, al “danno biologico”, uguale per ogni cittadino, da determinarsi con riferimento a requisiti consistenti nella età della danneggiata e nel grado di invalidità permanente (cd. punti). La confluenza in un ipotetico diagramma dei detti requisiti determina l’importo dovuto. Il danno biologico si riferisce non solo ai danni fisici, ma anche ai danni psichici. Tali danni psichici, ad esempio, sono valutati nella ipotesi di decesso di una persona e della influenza che tale decesso abbia avuto nella psiche dei familiari.
Nello specifico si ricorda che in merito alla liquidazione del danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità conseguente a sinistri il comma 17 dell’art. 1 della legge n. 124/2017 ha modificato l’art. 138 del codice delle assicurazioni private (d.lgs. n. 209/2005) il quale prevede che al fine di garantire il diritto delle vittime dei sinistri a un pieno risarcimento del danno non patrimoniale effettivamente subito e di razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori, con decreto del Presidente della Repubblica, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica:
a) delle menomazioni all’integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti;
b) del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità comprensivo dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso.
Tale tabella sarà redatta, tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo i seguenti principi e criteri:
a) agli effetti della tabella, per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito;
b) la tabella dei valori economici si fonda sul sistema a punto variabile in funzione dell’età e del grado di invalidità;
c) il valore economico del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi;
d) il valore economico del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto, sulla base delle tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all’interesse legale;
e) al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione;
f) il danno biologico temporaneo inferiore al 100 per cento è determinato in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
Qualora, poi, la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale potrà essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento.
In merito poi alla liquidazione del danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità conseguente a sinistri il comma 19 dell’art. 1 della legge n. 124/2017 ha modificato l’art. 139 del codice delle assicurazioni private prevedendo che il risarcimento del danno biologico per lesioni derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione di veicoli a motore e di natanti, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti:
a) a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al 9 per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione a ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione stabilita dal comma 6. L’importo così determinato si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello 0,5 per cento per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari a 795,91 euro;
b) a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di 39,37 euro per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al 100 per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
Anche in questo caso con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro della giustizia e con il Ministro dello sviluppo economico, si dovrà provvedere alla predisposizione di una specifica tabella delle menomazioni dell’integrità psico-fisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità.
Qualora, poi, la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale, potrà essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento. L’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche.
In merito alla liquidazione del danno biologico, si ricorda che la Corte di Cassazione con diverse sentenze (31 maggio 2003, n. 8827; 20 novembre 2012, n. 20292) ha affermato e più volte ribadito un concetto importante e cioè che nell’ottica della concezione unitaria della persona, la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione – bensì opportuna, ma non sempre indispensabile – tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica, ovvero quanto deve essere liquidato a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto (se una lesione dell’integrità psico-fisica venga riscontrata). Di conseguenza, quindi, non è illegittimo sostenere “che la liquidazione del danno biologico, di quello morale soggettivo e degli ulteriori pregiudizi risarcibili sia espressa da un’unica somma di denaro, per la cui determinazione si sia tuttavia tenuto conto di tutte le proiezioni dannose del fatto lesivo”.
La stessa Corte di Cassazione con diverse pronunce (Cass. Civ., sentenze 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828), ha chiarito le complesse problematiche attinenti alla tutela risarcitoria del danno alla persona, prospettando, nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori, inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.
Inoltre, va rilevato come a seguito dei diversi interventi giurisprudenziali della Suprema Corte (v. le sentenze del 2008) e principalmente a seguito della emanazione di due successivi provvedimenti normativi: il d.P.R. n. 37 del 2009 e il d.P.R. n. 191 del 2009, è diventata palese la volontà del legislatore di distinguere, morfologicamente prima ancora che funzionalmente, tra la “voce” di danno c.d. biologico da un canto, e la “voce” di danno morale dall’altro.
In linea di stretta continuità con quanto sostenuto in precedenza va chiarito che ormai il presupposto fondamentale ai fini della liquidazione del danno biologico è l’orientamento consolidatosi a seguito di Cass. SS.UU. n. 26972/08, in virtù del quale il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno non patrimoniale ha natura unitaria, il risarcimento del danno biologico è liquidato anch’esso in modo unitario, in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici (Cass. n. 24864/10; 4484/10; 25236/09).
Nelle note esplicative delle tabelle romane è previsto fra l’altro che per la valutazione equitativa nel caso di effettiva prova (ivi compresa la presunzione nell’ambito del diritto civile) del danno secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 26792/2008 il ristoro di tale danno, infatti, compete a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato potendo in questo caso essere oggetto di risarcimento qualsiasi danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, indipendentemente da una sua rilevanza costituzionale; b) quando sia la legge stessa a prevedere espressamente il ristoro del danno limitatamente si soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto; c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e non predeterminati dovendo, volta a volta essere allegati dalla parte e valutati caso per caso dal giudice (cfr ad es. Cass. sez. III, 25 settembre 2009 n. 20684).
In caso poi di incidenti stradali quando intercorre un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte causata dalle stesse è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione della integrità psicofisica patita dal danneggiato per il periodo di tempo indicato, e il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento del danno è trasmissibile agli eredi ‘iure hereditatis’; in questo caso, l’ammontare del danno biologico terminale sarà commisurato soltanto all’inabilità temporanea, e tuttavia la sua liquidazione dovrà tenere conto, nell’adeguare l’ammontare del danno alle circostanze del caso concreto, del fatto che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte (v. Cass. 08 luglio 2014 n. 15491; Cass., 30 ottobre 2009, n. 23053; Cass., 23 febbraio 2004, n. 3549). Nel caso, poi, si configuri un danno “edonistico” per la perdita del rapporto parentale, tale danno deve essere valutato unitamente al risarcimento del danno morale iure proprio. Difatti, secondo la S.C. il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio, in sede di personalizzazione della liquidazione (v. Cass., 23 settembre 2013, n. 21716).
La stessa Corte di Cassazione (Cass. 7 giugno 2011, n. 12273) ha precisato che tra le possibili posizioni giuridiche lese dall’evento dannoso rientrano quelle dei familiari della vittima che subiscono direttamente, anche se mediatamente attraverso il rapporto di coniugio e parentela, le conseguenze di un danno apportato al familiare in quanto l’evento lesivo tocca immediatamente la famiglia intesa come formazione sociale interrelata, ove i singoli componenti realizzano la propria personalità e i cui diritti inviolabili sono costituzionalmente garantiti, ma la cui lesione deve sempre essere allegata e provata non essendo legittimamente predicabile un danno in re ipsa.
La Corte di Cassazione è intervenuta anche in materia di liquidazione del danno terminale precisando un importante orientamento risalente a precedenti decisioni. Secondo la Suprema Corte (v. Cass. n. 23183/2014; Cass. n. 18163/2007 e Cass. n. 1877/2006) il danno terminale sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed è tale da sfociare nella morte. La stessa Corte ha evidenziato la necessità di tener conto di fattori di personalizzazione, escludendo pertanto che la liquidazione possa essere effettuata attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso. Ribadisce, quindi, la Corte che il danno terminale è comprensivo di un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso) cui può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico) e che, mentre nel primo caso la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, nel secondo caso risulta integrato un danno non patrimoniale di natura affatto peculiare che comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro – ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della enormità del pregiudizio.
Inoltre pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione ha poi ribadito che, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando all’estrema gravità delle lesioni, segua, dopo un intervallo temporale brevissimo, la morte, non può essere risarcito agli eredi il danno biologico “terminale” connesso alla perdita della vita della vittima, come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull’intensa sofferenza d’animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguite al sinistro (Cass., 05 dicembre 2014 n. 25731; Cass., 20 settembre 2011, n. 19133; Cass., 28 novembre 2008, n. 28423; Cass., 7 giugno 2008, n. 13672).