Accolto il ricorso della vittima di malasanità e del coniuge della stessa: ha errato la Corte d’appello a non liquidare il danno morale, includendolo nel calcolo tabellare del danno biologico.
È quanto stabilito dalla Terza Sezione Civile della Cassazione, nella sentenza n.901/18, pubblicata il 17 gennaio scorso.
La Suprema Corte ha previamente esaminato il concetto di danno non patrimoniale, rilevando che esso presenta una natura unitaria ed onnicomprensiva, laddove il carattere “unitario” va inteso come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante, non suscettibile di valutazione economica. Ciò comporta che non vi sia diversità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale.
La natura onnicomprensiva va intesa nel senso che, nella liquidazione di qualsiasi danno non patrimoniale, il giudice dovrà considerare tutte le conseguenze dell’evento dannoso, nessuna esclusa, evitando sia duplicazioni risarcitorie, con l’ attribuzione di definizioni diverse a pregiudizi identici, sia risarcimenti cd. bagattellari. Nel caso di pregiudizio agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto che lamenta un danno alla salute (art. 32 Cost.), occorrerà far riferimento al danno cd. biologico, mentre il cosiddetto danno “relazionale” va riferito a tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati. In particolare, il danno dinamico-relazionale, è la conseguenza omogenea di qualsiasi lesione di un diritto a copertura costituzionale, sia esso il diritto alla salute, sia altro diritto, interesse o valore, tutelato dalla Costituzione.
Spetterà al giudice del merito, dopo aver identificato l’indispensabile situazione soggettiva tutelata costituzionalmente, effettuare una rigorosa analisi e conseguente valutazione, sul piano probatorio, sia dell’aspetto della sofferenza interiore, sia del mutamento in pejus della vita quotidiana della vittima. Si tratta di danni diversi e perciò entrambi autonomamente risarcibili, se provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova, normativamente previsti.
A tal riguardo, la Cassazione ha contestato la tesi della Corte territoriale dell’”unitarietà onnicomprensiva” del danno biologico, restando ben salda la distinzione concettuale tra sofferenza interiore ed incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto. Secondo la Suprema Corte, tanti equivoci sarebbero stati forse evitati da una più attenta lettura della definizione di danno biologico, identica nella formulazione dell’art. 139 e del 138 del codice delle assicurazioni nel suo aspetto morfologico, ma diversa su quello funzionale, essendo la seconda un tipo di lesione “che esplica un’incidenza negativa sulla attività quotidiana e sugli aspetti dinamico relazionali del danneggiato”. Dunque si tratta di una dimensione dinamica del pregiudizio, una proiezione esterna al soggetto, un vulnus a tutto ciò che è “altro da se” rispetto all’essenza interiore della persona.
Ancora più cristallina appare la distinzione dal danno morale, secondo un’attenta lettura dell’art. 138. Nello specifico, l’art. 138 previgente, dopo aver definito, alla lettera a) del comma 2, il danno biologico in modo identico a quello di cui all’articolo successivo, precisa poi, al comma 3, che “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali,… l’ammontare del danno può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”.
Ciò conferma la legittimità dell’individuazione della duplice dimensione della sofferenza, quella di tipo relazionale inserita nella previsione legislativa, e quella di natura interiore, non codificata e non considerata, in modo tale da lasciare libero il giudice di quantificarla nell’ an e nel quantum con un’ulteriore, equa valutazione.
Pertanto, al di là dell’ambito delle micro-permanenti, l’aumento personalizzato del danno biologico è circoscritto agli aspetti dinamico relazionali della vita del soggetto in relazione alle prove prodotte, a prescindere dalla considerazione e dalla risarcibilità del danno morale, senza che ciò sia una “duplicazione risarcitoria”.
Dunque, se le tabelle del danno biologico indicano un indice standard di liquidazione, l’eventuale aumento percentuale sino al 30% sarà funzione della specificità del caso concreto in base al pregiudizio arrecato alla vita di relazione del soggetto.
Rileva in proposito, la nuova formulazione dell’art. 138 Codice delle Assicurazioni, contenuta nella Legge annuale per il mercato e la concorrenza, del 2 agosto 2017, dove si legge, testualmente, alla lettera e), che “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione.
Di tali principi non ha tenuto la Corte di merito, che, nella sentenza impugnata, ha sovrapposto la voce di “danno psicologico ulteriore rispetto al danno morale da reato riconosciuto dal primo giudice”, ritenendolo “già in parte riconosciuto sotto il profilo del danno morale, ma costituente un quid pluris rispetto al mero danno da reato”, per poi procedere alla liquidazione di un supposto “danno biologico complessivo, liquidabile, con personalizzazione massima, in Euro 27.770”, aggiungendo poi, del tutto erroneamente, che “il danno morale è incluso nel calcolo tabellare”, onde il suo riconoscimento avrebbe comportato “duplicazione risarcitoria”. Tra l’altro, non è comprensibile il ragionamento probatorio che ha portato alla determinazione della somma liquidata, non essendo stati specificati i criteri di valutazione delle varie componenti del danno alla salute in tutti i suoi aspetti dinamico-relazionali. Il giudice del rinvio dovrà tener conto che, nel caso di specie, tale danno è consistito nella definitiva perdita della capacità procreativa conseguente ad un intervento chirurgico risolto in una ben più complessa operazione, mai acconsentita, di laparotomia e su tali basi andrà di conseguenza considerato, ed autonomamente liquidato, il danno morale.
Infine, la Cassazione ha ritenuto illegittima ed offensiva per la dignità della persona nella sua dimensione di aspirante genitore biologico, la liquidazione del danno biologico effettuata dalla Corte territoriale, pronunciata in spregio del costante insegnamento della Suprema Corte, per cui il risarcimento del danno non patrimoniale deve necessariamente rivestire carattere di integrale riparazione (delle conseguenze inferte a diritti espressamente tutelati dalla Carta costituzionale.
La parola ora passa al giudice del rinvio