Cassazione civile , sez. I, sentenza 22.07.2014 n° 16658 (Barbara Vizioli)
Nei procedimenti in materia di famiglia, il compito del Giudice e del consulente da questi nominato è quello di tutelare in maniera adeguata gli interessi, la serenità e l’equilibrio psico-fisico dei minori coinvolti.
Per perseguire tale finalità, tuttavia, la valutazione del giudice sulle modalità dell’affidamento può non coincidere con le volontà e opinioni manifestate dal minore nel corso della sua audizione.
La vicenda in esame trae spunto dal rigetto, da parte della Corte di Appello di Genova, Sezione per i minorenni, del reclamo proposto da M. A. avverso il provvedimento con cui il Tribunale per i minorenni della medesima città aveva disposto che il figlio T., nato dalla relazione con B. A., pur restando affidato ad entrambi i genitori in modo condiviso, venisse collocato in modo prevalente presso il padre, residente in una città diversa da quella della madre e, quindi, trasferito da Genova, salva la frequentazione con la madre, di regola, due fine settimana al mese presso la sua residenza genovese.
M.A. proponeva, dunque, ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi.
Col primo motivo deduceva violazione e falsa applicazione di legge in ordine agli artt. 155 sexies c.c., art. 315 bis c.c., comma 2 e art. 336-bis c.c. e dell’art. 2, comma 1, lett. i) della Legge 10 dicembre 2012, n. 219, che prevedono l’obbligatoria audizione diretta da parte del giudice del minore. Nel caso di specie, il figlio T., sarebbe stato ascoltato soltanto dal C.T.U., nonostante che le parti avessero richiesto che fosse ascoltato dal Giudice.
Il motivo veniva ritenuto infondato.
E’ pacifico che l’ascolto del minore costituisca un adempimento necessario nelle procedure relative al suo affidamento nel primo grado di giudizio (Cass. n. 5847/2013), come si desume anche dall’art. 336-bis c.c, comma 1, che prevede che il minore debba essere ascoltato “dal presidente del tribunale o dal giudice delegato” (coerentemente con la L. n. 219 del 2012, art. 2, comma 1, lett. i).
Nel caso in esame, il minore era infatti stato ascoltato direttamente dal giudice nel primo grado di giudizio, ma non in sede di appello.
La Suprema Corte, tuttavia, riteneva che la circostanza che in grado di appello il minore fosse stato ascoltato solo dal consulente tecnico d’ufficio non determinava alcuna violazione di tipo processuale.
Il quarto motivo veniva invece ritenuto dalla Corte inammissibile, in quanto conteneva una critica della consulenza tecnica d’ufficio (con riguardo alla metodologia seguita dal consulente, alla modalità di ascolto del minore e all’accertamento della capacità genitoriale delle parti) che mascherava una istanza di revisione del giudizio di merito che è inammissibile in sede di legittimità.
Con il secondo e terzo motivo (la proposizione dei quali offre lo spunto al commento in questione) veniva criticata, per vizio di motivazione e violazione di legge, la decisione di collocare il figlio T. prevalentemente presso il padre, imputandosi alla corte del merito di non avere tenuto conto della situazione psicologica del minore e della sua volontà di non essere allontanato dal luogo in cui viveva con la madre; nonché di non avere effettuato una valutazione approfondita della personalità del padre e di avere acriticamente aderito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.
Entrambi i motivi venivano rigettati.
Secondo gli Ermellini, la corte del merito non aveva disatteso né trascurato la volontà del minore, ma aveva solo interpretato le sue dichiarazioni rese in sede di audizione.
Come è noto, la legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha inserito, nel codice civile, il nuovo art. 315-bis c.c. in cui si prevede, al comma II, che “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. L’art. 155-sexies c.c. tratteggia il “dovere” del giudice di ascoltare il minore; l’art. 315-bis c.c. delinea il “diritto” del minore ad essere ascoltato dal giudice, così guardando al fanciullo non come semplice oggetto di protezione ma come vero e proprio soggetto di diritto, a cui va data voce nel momento conflittuale della crisi familiare. Diritto del minore all’audizione e Dovere del giudice di dargli voce non sono, tuttavia, enunciati assoluti su cui non possa innestarsi una valutazione del giudicante: e, infatti, in linea di principio, certamente l’audizione va esclusa dove essa non sia utile risultando superflua (es. separazioni consensuali) oppure dove l’incombente rischi di pregiudicare l’equilibrio psico-fisico del bambino.
In particolare, l’art. 155-sexies c.c., introdotto con la L. 54/2006, al co. 1 prevede: “Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155 c.c., il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
L’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è diventata un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardano, e in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25.01.1996, ratificata con L. 77/2003 e dell’art. 155-sexies c.c., introdotto dalla L. 54/2006; l’unico limite consiste nell’eventuale contrasto con gli interessi fondamentali del minore o con motivata assenza di discernimento di quest’ultimo (in merito, sono intervenute le SS.UU. della Cass., sent. 22238/2009).
Deve rimarcarsi che, attesa la primazia “dell’interesse morale e materiale” della prole stessa, la norma contenuta nell’art. 155-sexies, comma 1 c.c., nella parte in cui prevede l’audizione del minore da parte del Giudice, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio dei figli, in quanto parti sostanziali del procedimento (Cass. SS.UU., 21 ottobre 2009, n. 22238), ma impone certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto. (Cass. Civ. 7773/2012).
Sull’interpretazione dell’art. 155-sexies c.c. vi sono serrati dibattiti interpretativi.
Il nodo cruciale di tali contrasti di opinioni è costituito dall’obbligatorietà o meno dello strumento processuale dell’ascolto, soprattutto ove il minore abbia meno di 12 anni.
L’art. 24 della Carta Europea dei diritti fondamentali del cittadino, recepito nel diritto interno dal reg. UE 2201/2003 in materia matrimoniale e di potestà parentale, ci ricorda che l’interesse del minore è quello “a intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori”, vale a dire alla conservazione di una efficace relazione educativa.
La norma in questione richiede la “capacità di discernimento” in capo al fanciullo.
Come è noto, la comprensione è l’attitudine di un soggetto (rectius: del minore) ad avere la percezione di ciò che gli sta accadendo e di esprimere le proprie sensazioni ed emozioni nella vicenda dell’affidamento.
Il Giudice non può stabilire a priori se tali soggetti abbiano capacità di discernimento ma deve servirsi di un tecnico di provata capacità ed esperienza, il quale riveste la qualità di ausiliario del Giudice ai sensi dell’art. 68 c.p.c.
Il mancato ascolto del minore comporta la nullità del provvedimento (Cass. Civ. SS.UU., sent. 22238/2009) in quanto determina un vizio assimilabile alla violazione del contraddittorio e non perché il minore non ascoltato possa essere considerato come parte pretermessa, ma perché viene omesso l’unico atto in cui il minore è chiamato a far sentire la sua voce.
E’, inoltre, nullo il provvedimento che nega l’audizione del minore se non adeguatamente motivato. (Cass. civ. Sez. I, 15/05/2013, n. 11687).
In base ad una giurisprudenza ormai pacifica, “il minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con il suo superiore interesse. È, quindi, errato ritenere che l’audizione del minore possa costituire una restrizione della sua libertà personale o una lesione dei suoi diritti fondamentali, costituendo, al contrario, una espansione del diritto del minore alla partecipazione al procedimento che lo riguarda.” (Cass. Civ. Sez. I, 05/03/2014, n. 5098).
Di contro, l’audizione non va disposta se è pregiudizievole per l’interesse a un equilibrato sviluppo psicofisico del minore.
A titolo di esempio, va ritenuta contraria all’interesse del minore (art. 336-bis c.c.) l’audizione dello stesso in processi che abbiano ad oggetto solo questioni economiche e patrimoniali (Trib. Milano Ordinanza, 20/03/2014) ovvero nei casi in cui si tratti di un minore in tenera età.
Naturalmente, le valutazioni del Giudice sono orientate a realizzare l’interesse del minore; tuttavia, può accadere che le opinioni del Magistrato siano difformi da quelle manifestate dal minore e che quindi vengano presi provvedimenti difformi dalla volontà del bambino.
Tali provvedimenti non sono illegittimi, ma vi è un onere di motivazione la cui entità è direttamente proporzionale al grado di maturità attribuito al figlio.
Ad esempio, in tema di assegnazione del bambino ad un genitore che diventi testimone di Geova, vi sono state pronunce in cui il Giudice ha disposto l’affidamento esclusivo all’altro familiare, nonostante quanto dichiarato dal minore fosse contrario ad un tale estremo provvedimento.
In tali situazioni si è osservato, oltre al rischio di esporre il minore ad una non corretta socializzazione con altri coetanei (si pensi ad esempio al fatto di non festeggiare più il Natale e le altre feste cristiane) che vi è il serio pericolo di vita nel caso in cui il bambino avesse bisogno di una trasfusione di sangue. (v. Trib. Prato Ord., 13/02/2009)
Dunque, in conclusione, anche se ascoltato, il giudice può disattendere le volontà dal minore manifestate, se possano essere pregiudizievoli per lo stesso.
In tal senso si è espressa la Suprema Corte nella recente sentenza oggetto della presente nota: “La valutazione del giudice sulle modalità dell’affidamento può non coincidere con le opinioni manifestate dal minore, ma il giudice ha un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento del minore e ciò è una diretta conseguenza dell’imprescindibilità dell’ascolto del medesimo.” (Cass. civ. Sez. I, 22/07/2014, n. 16658).
In ultimo, si segnalano i protocolli di audizione dei minori predisposti per le varie città dall’osservatorio di giustizia civile dei relativi Tribunali per la regolamentazione le norme di comportamento a cui ci si deve attenere per l’audizione del minore nel corso dei procedimenti familiari.