Pubblichiamo l’articolo di Pietro Zanelli e Federico Bonora, tratto da Notariato (n. 3/2017), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>
Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l’immobile è (economicamente) “incommerciabile”. Si è evidenziato immedia-tamente il puntum pruriens. Il difetto assoluto della licenza di abitabilità o l’insussistenza delle condizioni necessarie a ottenerla integra ipotesi di consegna di aliud pro alio, legittimando sia la domanda di risolu-zione del contratto, sia quella di risarcimento del danno, sia l’eccezione di inadempimento. La violazione non è sanata dalla mera circostanza che il venditore abbia già presentato una domanda di condono.
Con la sentenza in epigrafe (n. 2294/2017, ndr.) la Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di vendita di un immobile sprovvisto di agibilità; i giudici della S.C. hanno ribadito la necessità di scindere le questioni relative all’agibilità e quelle attinenti alla regolarità urbanistica dello stesso; l’avvenuta presentazione della domanda di condono alla data della stipula non vale infatti a sanare il mancato rilascio dell’oggi soppresso certificato di agibilità, ciò in ragione della necessità della differente funzione dei relativi provvedimenti amministrativi.Agibilità”incommerciabilità economica” non è “incommerciabilità giuridica” |
1. Il caso
Con la sentenza n. 2294 del 2017, la Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di vendita di un immobile sprovvisto di agibilità.
Nel caso di specie, la parte acquirente rilevava l’esistenza di una forte umidità da risalita capillare al piano terra dell’immobile compravenduto, tale da impedire il rilascio del relativo certificato di agibilità. In ragione di ciò la parte agiva in giudizio, decisa a ottenere dall’alienante una somma pari alle spese derivanti dai lavori necessari al rilascio del suddetto certificato. Ciò anche in considerazione del fatto che nel contratto di compravendita lo stesso venditore si era impegnato ad effettuare ogni pagamento necessario all’ottenimento del relativo certificato. Il convenuto eccepiva quindi la prescrizione dell’azione esperita, risultando tuttavia soccombente in primo grado. La Corte d’Appello confermava la pronuncia del Tribunale, aderendo alla ricostruzione operata dagli attori e dunque ritenendo l’alienante inadempiente, in ragione della mancata dotazione dell’immobile del certificato di agibilità. Si rinveniva nello specifico un’ipotesi di vendita di aliud pro alio[1] – e non di vizio della cosa venduta – stante la mancanza in capo all’immobile di un “requisito giuridico essenziale”, con possibilità in capo ai soggetti lesi di agire entro il termine decennale di prescrizione.
La controversia giungeva quindi in Cassazione, la quale rigettava il ricorso dell’alienante, ritenendo i motivi addotti dallo stesso del tutto privi di fondamento.
2. Il quadro normativo
La pronuncia in esame offre lo spunto per approfondire la tematica relativa alla vendita di un bene sprovvisto di agibilità.
Il certificato di agibilità, oggi sostituito dalla segnalazione di agibilità, ha la funzione di garantire il rispetto dei requisiti minimi di salubrità, igiene e sicurezza dell’immobile[2].
Costituendo l’agibilità un elemento caratterizzante del bene[3], il difetto della stessa comporta una rilevante limitazione del godimento dell’immobile da parte del suo titolare. Tale limite si frappone al pieno esercizio del diritto di proprietà, e risulta legittimo in quanto posto a tutela del diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost.[4]. I requisiti sopra richiamati sono stati infatti reputati rilevanti ai fini della tutela di tutta la collettività, e non solo di coloro che sono destinati ad abitare l’immobile[5].
La disciplina in materia è dettata dagli artt. 24, 25 e 26 del d.P.R. n. 380/2001,[6] come recentemente modificati dal D.Lgs. n. 222/2016.
L’intervento del 2001 aveva comportato il venir meno la distinzione tra agibilità e abitabilità.
Il ricorso alla duplice terminologia aveva fatto sorgere in passato dubbi circa la possibilità di ricondurre i due termini ad unità semantica, tanto che parte della dottrina aveva rilevato la necessità di ottenere il rilascio di due distinte certificazioni. La previsione di un unico termine è stata volta a far venir meno tale incertezza, come d’altronde risulta dalla stessa relazione al Testo Unico dell’Edilizia, la quale afferma che “per quanto riguarda l’agibilità degli edifici, si è, preliminarmente, operato per ridurre ad unità i termini di agibilità-abitabilità fonte di ambiguità, in quanto promiscuamente impiegati dal legislatore nel corso degli anni […] si è pertanto provveduto ad eliminare il duplice riferimento terminologico attualmente presente nella legislazione di settore”[7].
Al di là della modifica a livello terminologico, la disciplina introdotta con il d.P.R. n. 380/2001 ha ampliato l’ambito delle categorie di edifici per le quali è richiesto il rilascio del certificato di agibilità, non limitandosi alle case urbane e rurali citate dalla previgente normativa.
L’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001 si riferisce alle nuove costruzioni, ricostruzioni o sopraelevazioni, nonché a interventi sul costruito che possano influire sulle condizioni di salubrità, igiene e sicurezza. Il raggio di azione della disciplina è dunque esteso a qualsiasi edificio che rientri in uno dei casi sopra indicati, in linea tra l’altro con l’orientamento dottrinale che ante riforma aveva superato il tenore strettamente letterale della normativa allora in vigore[8].
Come anticipato, la normativa in materia è stata recentemente riformata dal D.Lgs. n. 222/2016, il quale ha sostituito al certificato di agibilità la segnalazione di agibilità, da presentare al competente ufficio comunale entro 15 giorni dalla comunicazione di fine lavori. Il comune ha 30 giorni di tempo per richiedere ulteriori documenti o precisazioni, dopodiché l’immobile è regolarmente abitabile.
Quanto agli effetti derivanti dalla presentazione della segnalazione, occorre considerare che l’agibilità determina la cd. abitabilità legale dell’immobile. Non assume alcun rilevo giuridico sanante la circostanza che, nonostante il mancato ottenimento dell’agibilità, l’immobile sia stato concretamente adibito ad abitazione da parte del suo proprietario[9]. Al riguardo si segnala che, nonostante la vigente normativa non contempli sanzioni in capo ai soggetti che pongano in essere tale condotta, l’art. 24 T.U.E. prevede che – decorsi 15 giorni dalla fine dei lavori – la mancata presentazione della segnalazione di agibilità comporta l’erogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
In assenza di patti contrari, l’obbligo di consegna dei documenti comprovanti l’agibilità grava in capo all’alienante, essendo tale requisito implicito in caso di silenzio delle parti sul punto[10]. Da ciò discende che, in assenza di agibilità, graverà in capo al venditore l’obbligo di attivarsi al fine di attivare la procedura volta al suo ottenimento.
Al riguardo, l’inserimento in atto di una clausola nella quale si afferma che “il bene è trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trova” non incide in alcun modo sugli obblighi in capo al venditore. Si è infatti osservato[11] che la previsione in esame integra una clausola di stile, inidonea dunque a far venir meno l’obbligazione esistente in capo all’alienante, essendo sul punto sempre necessario un espresso esonero da parte dell’acquirente[12].
Quanto poi all’ipotesi in cui l’abitabilità, nel vigore della previgente disciplina, fosse stata ottenuta in forza di silenzio assenso[13], in giurisprudenza si considerava il venditore adempiente qualora, al momento del rogito, avesse offerto “la documentazione attestante la regolare presentazione dell’istanza e il decorso del tempo”[14], sorgendo tuttavia in capo allo stesso l’onere, a richiesta del notaio rogante o dell’acquirente, di comprovare che l’istanza fosse stata presentata con il dovuto corredo documentale.
Ebbene, è opportuno rilevare come il silenzio assenso costituisca oggi, in ragione della recente novella legislativa, l’ipotesi ordinaria. La pronuncia giurisprudenziale sopra richiamata assume dunque in tale ottica un notevole rilievo.
3. Spazi di autonomia concessi alle parti e possibili conseguenze del difetto di agibilità
Esaminati i caratteri generali della normativa relativa all’agibilità degli immobili, occorre indagare circa la libertà concessa alle parti, al momento della determinazione del regolamento di interessi, di incidere sulla disciplina legale sopra esposta.
In sede di stipulazione del contratto di compravendita di un immobile sprovvisto dell’agibilità, le parti possono infatti espressamente convenire di trasferire il bene a prescindere dall’esistenza di tale qualità. In tal caso l’acquirente avrà valutato l’opportunità di procedere all’acquisto del bene, nella consapevolezza dell’assenza dell’agibilità, in considerazione dei vantaggi derivanti dalla conclusione del negozio a prescindere dalla presenza di tale elemento. Sorgerà tuttavia responsabilità contrattuale in capo all’alienante qualora lo stesso, pur in presenza del siffatto accordo, abbia garantito la sussistenza dei requisiti astrattamente necessari per l’ottenimento dell’agibilità dell’immobile e questi risultino invece mancanti[15].
Le parti, qualora alla conclusione del contratto di vendita il bene difetti dell’agibilità, possono inoltre liberamente individuare il soggetto in capo al quale gravino le spese necessarie per la procedura volta all’ottenimento di tale qualità.
In base a quanto detto, risulta dunque evidente che l’assenza dell’agibilità incide sul corretto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di vendita e non sulla validità del contratto stesso.
Nonostante infatti numerose sentenze facciano riferimento alla incommerciabilità degli immobili sprovvisti di agibilità, in nessuna di queste pronunce è mai effettivamente posta in contestazione la validità del negozio concluso[16]. Al riguardo, basti considerare che è pacificamente ammessa la possibilità di agire ex art. 2932 c.c., al fine di ottenere una pronuncia giudiziale che produca gli effetti del contratto che le parti si sono obbligate a concludere in forza di un preliminare di vendita di un bene sprovvisto di agibilità[17].
L’unica eccezione individuata dalla giurisprudenza è costituita dall’ipotesi in cui l’assenza di agibilità comporti l’assoluta impossibilità di godimento del bene[18]. In tal caso il negozio sarà infatti radicalmente nullo. Si tratta comunque di un’eventualità raramente rinvenibile nella pratica dei traffici immobiliari e destinata essenzialmente a costituire un caso di scuola.
Per rinvenire invece una pronuncia che faccia derivare dalla mancanza di tale elemento la costante nullità del contratto, occorre volgere lo sguardo indietro di oltre trent’anni. Si segnala infatti una risalente pronuncia del Tribunale di Venezia[19], secondo la quale nell’ipotesi in questione ricorrerebbe nullità per illiceità dell’oggetto. Tale orientamento giurisprudenziale non ha tuttavia trovato riscontro negli anni successivi, venendo anzi più volte smentito[20] sulla base dell’assunto che non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma che preveda l’obbligo, peraltro a pena di nullità, di dotare l’immobile del requisito dell’agibilità precedentemente alla sua vendita[21].
Sotto l’aspetto testé evidenziato, la situazione in esame si differenzia dall’ipotesi in cui un negozio abbia ad oggetto immobili abusivi, stante la sanzione della nullità comminata in caso di difetto di conformità urbanistica ed edilizia[22].
Effettuate tali precisazioni, occorre chiarire perché allora la giurisprudenza faccia spesso riferimento alla incommerciabilità dei beni in tali ipotesi. Detta incommerciabilità assume infatti nelle pronunce – compresa quella in commento – una connotazione extra giuridica, comportando una valutazione in concreto, relativa alla minore appetibilità sul mercato di un immobile sprovvisto di agibilità e ai conseguenti ostacoli che si frappongono a una sua effettiva circolazione. Ciò in ragione dell’impossibilità dello stesso di soddisfare un bisogno tipico degli acquirenti di immobili, quale è appunto la destinazione del bene ad abitazione. L’orientamento giurisprudenziale pone dunque l’accento sulla funzione economico sociale del bene, la cui alterazione inciderebbe anche sui risvolti circolatori dello stesso.
A sostegno di tale lettura, è opportuno osservare che in alcune di tali pronunce si parla di “ridotta commerciabilità del bene” o di “problemi di commerciabilità”, rilevando come il difetto di agibilità comporti problemi alla “normale commerciabilità” del bene e ponendo al centro i “concreti bisogni che inducono il compratore all’acquisto”[23]. Se dunque il bene, pur con maggiore difficoltà, può circolare, ne deriva che i relativi negozi saranno validi. Sulla base di quanto affermato è agevole concludere che un immobile sprovvisto dell’agibilità non è incommerciabile, subendo esclusivamente un deprezzamento rispetto al valore che avrebbe in caso contrario, sia in relazione all’impossibilità di pieno godimento dello stesso, che in considerazione delle spese che si renderanno eventualmente necessarie al fine dell’ottenimento dell’agibilità.[24]
Quanto constatato si pone in linea con la distinzione operata in dottrina[25] e in giurisprudenza[26] tra il profilo della regolarità urbanistica e quello della agibilità.
Al riguardo, è agevole osservare innanzitutto che l’avvio della procedura volta all’ottenimento dell’agibilità avviene in un momento successivo alla realizzazione dell’immobile, stante la sua esclusiva funzione di accertare la sussistenza delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile. Inoltre, in base alla vigente disciplina, la conformità del bene al progetto approvato deve esclusivamente risultare da una autodichiarazione resa dal richiedente al momento della presentazione della segnalazione di agibilità, potendo dunque al limite far sorgere una presunzione iuris tantum di conformità urbanistico-edilizia[27]. Al fine di un effettivo accertamento della conformità urbanistica occorrerà invece verificare il rispetto della disciplina in materia, e in particolare l’avvenuto rilascio del provvedimento abilitativo o di un provvedimento in sanatoria, i cui estremi dovranno inoltre risultare dall’atto con il quale l’immobile viene trasferito.
Pur essendo innegabile una sostanziale interrelazione tra il profilo dell’agibilità e quello della conformità urbanistico-edilizia, è dunque opportuno evidenziare che questi risultano giuridicamente distinti, non potendo la regolarità dal punto di vista urbanistico sanare il difetto di agibilità, e viceversa. In altre parole, la sussistenza dell’agibilità è inidonea a garantire la regolarità urbanistica dell’immobile, e allo stesso modo il rilascio del permesso a costruire – nonché il ricorso alla super D.IA. o alla S.C.I.A. – non esimono dall’obbligo di porre in essere gli adempimenti necessari all’ottenimento dell’agibilità.
Questo comporta che il rilascio di un provvedimento che sani l’irregolarità dell’immobile dal punto di vista urbanistico potrebbe non essere seguito dall’ottenimento dall’ottenimento dell’agibilità, non essendo i due eventi conseguenziali[28].
Come già rilevato, il difetto di agibilità, lungi dal comportare l’invalidità del negozio traslativo dell’immobile, incide piuttosto sul piano della responsabilità contrattuale. Se sul punto vi è sostanziale accordo in giurisprudenza, quanto invece al fondamento normativo della responsabilità dell’alienante – stante il silenzio del legislatore – sono state in passato suggerite diverse soluzioni[29].
a) Un primo orientamento ha affermato la necessità di applicare l’art. 1489 c.c., relativo alla vendita di beni gravati da oneri, diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscano il godimento. A giustificazione di tale assunto, si è infatti evidenziata la particolare ampiezza della norma da ultimo richiamata, idonea a ricomprendere eventuali limiti derivanti da provvedimenti amministrativi, purché naturalmente l’acquirente non ne fosse a conoscenza. Ciò non si porrebbe in contrasto con il brocardo ignorantia legis non excusat, in quanto si addurrebbe la mancata conoscenza non della normativa in materia, bensì dell’assenza in concreto dell’agibilità. Tale difetto di informazione sussisterebbe in ragione delle dichiarazioni fornite dal venditore o della documentazione dallo stesso prodotta[30]. L’acquirente potrebbe in tal caso ottenere la risoluzione del contratto o la riduzione dell’ammontare corrispettivo, nel rispetto di quanto dettato dall’art. 1480 c.c.
b) Un secondo orientamento ha rinvenuto il fondamento della la responsabilità in capo all’alienante nell’obbligo di consegna dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa venduta, previsto dal terzo comma dell’art. 1477 c.c.[31] Sorgerebbe dunque in capo all’acquirente il diritto di agire al fine di ottenere l’adempimento del contratto o la risoluzione per inadempimento, nonché il risarcimento del danno. Sarebbe inoltre possibile eccepire l’inadempimento del venditore ex art. 1460 c.c.[32]
c) In senso ancora difforme, si è sostenuto che il difetto di agibilità costituisca un vizio della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1490 c.c. o una mancanza delle qualità promesse ex art. 1497 c.c.[33] Il primo caso ricorre ogniqualvolta il bene consegnato al compratore presenti imperfezioni che lo rendano inidoneo all’uso cui dovrebbe essere destinato o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore[34]. Il secondo caso si ha qualora il bene consegnato risulti privo delle qualità promesse o di quelle essenziali all’uso a cui è destinato, purché il difetto ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.
In tale ipotesi il compratore dovrebbe attivarsi con particolare celerità al fine di far valere le proprie ragioni, in quanto l’art. 1495 c.c., richiamato anche dall’art. 1497 c.c., prevede che il vizio debba essere denunciato entro il termine di decadenza di 8 giorni dalla sua scoperta, e che il diritto ad agire si prescriva in ogni caso decorso un anno dalla consegna.
d) Un ulteriore orientamento – abbracciato tra l’altro dalla sentenza in commento – riconduce l’ipotesi trattata alla figura della vendita di aliud pro alio[35].
Si suole parlare di aliud pro alio qualora il bene oggetto del contratto non possieda uno o più elementi indispensabili per garantirne la riconducibilità a un determinato genere. Tale definizione nel corso degli anni ha assunto confini sempre meno rigidi, sino a ricondurre all’interno della figura ogni ipotesi in cui il bene risulti inidoneo all’espletamento della sua tipica funzione economico-sociale, o comunque a una funzione che le parti abbiano ritenuto essenziale[36]. In tal modo si è inteso rispondere alle critiche che escludevano la riconducibilità della vendita di un immobile privo di agibilità all’ipotesi di aliud pro alio, in ragione della mancanza del requisito della assoluta diversità tra quanto negoziato e quanto consegnato. Secondo tale posizione critica, infatti, il bene privo di agibilità avrebbe semplicemente difettato di un singolo elemento, non potendosi parlare invece di un bene di diverso genere.
In caso di vendita di alio pro aliud, il soggetto leso avrà diritto di agire per l’adempimento o per la risoluzione ex art. 1353 c.c., nonché di eccepire l’inadempimento ex art. 1460 c.c.
In relazione alla possibilità di ottenere la risoluzione del contratto, risulta tuttora discusso se la valutazione circa la rilevanza dell’adempimento debba essere effettuata con riferimento al caso concreto, gravando in capo all’acquirente l’onere di provare che l’inadempimento non è stato di scarsa importanza, o se la gravità sussista in re ipsa, essendo desumibile dall’assenza dell’agibilità, a prescindere dalle cause di tale mancanza[37]. La giurisprudenza negli anni ha assunto una posizione ondivaga sul punto, il quale risulta fondamentale al fine di valutare la responsabilità dell’alienante qualora l’agibilità venga ottenuta successivamente all’avvio del giudizio[38]. Relativamente a tale ipotesi, si è infatti sostenuto che, nonostante il divieto di adempimento successivo alla proposizione dell’azione di risoluzione, di cui all’art. 1453.3 c.c., il successivo ottenimento dell’agibilità è idoneo a incidere sulla valutazione della gravità dell’inadempimento, costituendo riprova dell’assenza di impedimenti ad integrare tale elemento[39].
In generale, a seconda della tesi adottata varia il peso rivestito dalla idoneità in concreto del bene all’ottenimento dell’agibilità.
Qualora infine la conoscenza del difetto dell’agibilità sopraggiunga in un momento precedente alla stipulazione del contratto di trasferimento, l’acquirente ben potrà rifiutarsi di concludere l’operazione[40]. Allo stesso modo, i rimedi sopra esposti saranno adottabili nell’ipotesi in cui le parti si siano vincolate alla stipula del definitivo in forza di un preliminare di vendita[41].
Sulla scorta delle più recenti pronunce della Cassazione, prima fra tutte quella oggetto del presente commento, l’orientamento prevalente risulta attualmente essere quello che riconduce l’ipotesi alla vendita di aliud pro alio[42], sebbene non manchino sentenze che identificano il difetto di agibilità in un vizio della cosa venduta o nella mancanza di una qualità promessa[43]. La principale distinzione intercorrente tra le soluzioni testé richiamate si manifesta principalmente con riferimento ai differenti termini previsti al fine di esperire le relative azioni. Se, come già rilevato, nel secondo caso ricorrono un termine di decadenza e un termine annuale di prescrizione, nell’ipotesi di aliud pro alio è invece possibile agire nell’ordinario termine decennale, difettando inoltre il termine di decadenza[44].
Sotto il profilo del ruolo e delle responsabilità dal notaio, la validità della vendita di un immobile sprovvisto dell’agibilità comporta l’obbligo in capo allo stesso di procedere, se richiesto, alla stipulazione del contratto. Non ricorrendo gli estremi per l’applicabilità dell’art. 28 L.N., il notaio che si rifiuti di ricevere un siffatto negozio violerebbe infatti l’art. 27 L.N., incorrendo nella responsabilità di cui al secondo comma dell’art. 138 L.N.
L’attività del notaio dovrà in tali ipotesi concretarsi in una corretta informazione nei confronti della parte acquirente, al fine di garantire che la stessa sia al corrente delle conseguenze derivanti dall’acquisto di un immobile privo dell’elemento dell’agibilità, potendo tale qualità, specie nell’ipotesi di un immobile da adibire ad abitazione, risultare determinante nella valutazione del contraente circa l’opportunità di procedere alla stipula.
Sebbene la disciplina in materia non imponga l’indicazione in atto degli estremi della segnalazione di agibilità, né del decorso del termine entro il quale il comune può effettuare rilievi, sarà compito del notaio valutare l’opportunità di inserirvi i relativi riferimenti. In particolare, risulterà opportuno trasporre correttamente nel contratto gli accordi eventualmente intercorsi tra le parti relativamente a tale requisito, attraverso clausole idonee a prevenire futuri contenziosi.
Da ultimo, occorre rilevare che l’attività del notaio sarà sempre vincolata dalle risultanze documentali derivanti dalle visure ipotecarie e catastali, noché dagli incartamenti forniti dalle parti, non potendosi invece pretendere un controllo in concreto della condizione dell’immobile[45].
4. L’approdo della Corte
Con specifico riferimento alla sentenza in commento, la corte, sul solco delle più recente giurisprudenza[46], riconduce l’ipotesi di vendita di immobile sprovvisto di certificato di agibilità – oggi, come detto, sostituito dalla segnalazione di agibilità – alla figura dell’aliud pro alio, rinvenendo in capo all’alienante l’obbligo di consegnare la documentazione al momento della stipulazione del contratto.
I giudici precisano inoltre che la vendita di aliud pro alio ricorre sia qualora il bene difetti in maniera assoluta di agibilità, che quando sia privo dei requisiti minimi necessari per l’ottenimento della stessa.
Al riguardo, come si è già avuto modo di precisare all’interno della presente trattazione, non rileverebbe secondo i giudici l’utilizzazione dell’immobile quale abitazione da parte del precedente proprietario[47], né inciderebbe positivamente l’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria.
Gli ermellini hanno dunque colto l’occasione per ribadire la necessità di scindere le questioni relative all’agibilità e quelle attinenti alla regolarità urbanistica dello stesso. Secondo quanto già affermato in passato dalla corte[48], l’avvenuta presentazione della domanda di condono alla data della stipula non vale infatti a sanare il mancato rilascio dell’oggi soppresso certificato di agibilità. Ciò in ragione appunto della necessità della differente funzione dei relativi provvedimenti amministrativi: il primo volto a garantire il rispetto degli standards urbanistici e la conformità edilizia dell’immobile, mentre il secondo mirando ad assicurare la salubrità, l’igiene e la sicurezza degli spazi.
Dal punto di vista delle conseguenze derivanti dall’inadempimento del venditore, la corte ammette la possibilità di agire al fine di ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto, nonché il risarcimento del danno. Si riconosce altresì la possibilità di eccepire l’inadempimento exart. 1460 c.c. Anche sotto tale aspetto i giudici si pongono quindi nel solco della corrente giurisprudenziale sopra esposta, non innovando rispetto al passato.
Da ultimo, i giudici sottolineano come, in assenza dell’agibilità, l’immobile risulta incommerciabile. Al riguardo è opportuno ribadire che, come approfonditamente esplicato all’interno della presente trattazione, la richiamata incommerciabilità non va intesa in senso giuridico, bensì in un’ottica esclusivamente economica. È indiscusso infatti che un bene sprovvisto dell’agibilità possa liberamente circolare, sebbene tale circostanza ne limiti in parte il godimento. Il termine utilizzato va dunque inteso in senso lato, ponendosi il difetto di agibilità esclusivamente sul piano dell’inadempimento contrattuale.
5. Conclusioni
Si può dunque affermare che la sentenza in commento si pone in linea con la precedente giurisprudenza[49], rinvenendo nella mancata consegna del certificato di agibilità un inadempimento integrante vendita di aliud pro alio, a prescindere dal fatto che ciò derivi da una semplice inerzia del venditore o da caratteristiche intrinseche dell’immobile. Il bene oggetto della compravendita risulta in tal caso solo economicamente incommerciabile, non essendo idoneo ad assolvere la sua tipica funzione economico-sociale. Da ciò deriva che non sussistono invece ostacoli giuridici alla sua circolazione.
Risulta inoltre opportuno evidenziare che, nonostante la soppressione del certificato di agibilità e la sua sostituzione con la segnalazione di agibilità, le considerazioni effettuate dai giudici nella pronuncia in oggetto mantengono forte rilevanza e attualità.