A quasi un anno dalla sentenza n° 11504/2017 della Cassazione, l’adesione della giurisprudenza di merito al più recente orientamento interpretativo dell’art 5, comma 6°, Legge divorzio, rimane piuttosto “prudente”; l’individuazione dei requisiti necessari al riconoscimento dell’assegno di divorzio è diventato, anzi, il tema di un dibattito giurisprudenziale molto vivace, cui ha contribuito di recente, la Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n° 3334/2017.
IL CASO. Una signora ultracinquantenne impugna avanti la Corte d’Appello la decisione con cui il Tribunale di Verona, definendo a luglio 2017 il procedimento di divorzio che la riguarda, le nega il diritto al mantenimento, dichiarando di conformarsi al nuovo orientamento della Suprema Corte.
La pretesa della signora, riproposta in secondo grado, è il riconoscimento di un assegno di 1500 euro mensili; la censura rivolta al Tribunale quella di non aver considerato la notevole disparità economica degli ex coniugi e di aver dato rilievo al suo patrimonio immobiliare (costituito da due immobili, uno gravato da usufrutto della madre, uno concesso in comodato), benché non fosse “fruibile”.
LA DECISIONE. La Corte Lagunare, dopo aver ribadito l’autonomia dell’assegno di separazione rispetto a quello di divorzio (in sede di separazione i coniugi avevano convenuto un assegno di 1.000 euro mensili), respinge il ricorso della signora e giustifica la decisione col seguente iter argomentativo:
• Dichiara innanzitutto di condividere l’esigenza espressa da Cass n° 11504/2017 di «recidere ogni residua influenza della concezione patrimonialistica del matrimonio, inteso come sistemazione definitiva»;
• Ritiene che questa concezione patrimonialistica sia il frutto di un orientamento giurisprudenziale che, riconosciuta in teoria la natura assistenziale dell’assegno di divorzio, ha di fatto finito «per dare eminente rilievo al solo dato del divario del reddito e del patrimonio, sufficiente a far presumere l’inadeguatezza del coniuge meno abbiente» e a giustificare una solidarietà postconiugale priva di fondamento giuridico.
E’ stata così attribuita all’assegno una finalità di mero bilanciamento della condizione reddittuale e patrimoniale fra i coniugi, del tutto estranea al testo e alla finalità dell’art 5, comma 6 l. div.
• Soprattutto nelle situazioni di particolare agiatezza l’orientamento volto alla perequazione dei redditi poteva tradursi nella costituzione di ingiustificate rendite di posizione. Alla sentenza della Corte di Cassazione i giudici veneziani riconoscono il merito di aver cercato di por fine a queste forme di “ingiustificata solidarietà”.
• La Corte territoriale dissente però apertamente da Cass. n° 11504/2017 nella parte in cui indica come presupposto dell’assegno non l’impossibilità di conservazione del tenore di vita che ha caratterizzato il rapporto matrimoniale, ma quella di raggiungere l’indipendenza economica, da valutarsi con riferimento al “singolo individuo”.
• Secondo la Corte veneziana
il parametro di riferimento non può che rimanere quello del tenore di vita, pena l’omologazione di tutte le vicende coniugali;
e la parte economicamente più debole avrà diritto, nei limiti in cui i redditi dell’altro lo consentono a soddisfare le sue esigenze di vita, i suoi interesse e il suo benessere in conformità a quanto accadeva durante il matrimonio.
Rileva anche la Corte che il riferimento al parametro “atomistico” di “indipendenza economica dell’ex coniuge come singolo” suggerito da Cass n° 11504/2017 si tradurrebbe inevitabilmente nella scelta “dirompente” di determinazione di «una soglia standard di capacita reddituale e patrimoniale (come – ad esempio – il limite reddituale per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato o un multiplo della pensione sociale)» che «prescindendo del tutto dalla valutazione della condizione personale del coniuge che caratterizzava le sue legittime aspirazioni ed esigenze di vita durante il matrimonio» si porrebbe in stridente contrasto con la previsione dell’art. 5 della legge n. 898/1970.
• Del resto, ricorda la Corte veneziana, nell’ipotesi di matrimonio nullo l’art. 129 c.c. assicura al coniuge in buona fede un assegno di mantenimento, pur temporaneo, ma comunque parametrato alle condizioni della vita in comune; e dunque «sarebbe incoerente escludere la valenza del livello della vita matrimoniale nel caso sia esistito un matrimonio valido anche se terminato con il divorzio»
• Il Giudice dell’appello contesta in modo radicale e convincente (con considerazioni per le quali si rinvia alla sentenza) il pregio di un argomento molto valorizzato dalla Cassazione per sostituire al parametro del tenore di vita quello dell’indipendenza economica: il fatto che l’art. 337 septies primo comma c.c. riconosca il diritto al mantenimento ai figli maggiorenni “non indipendenti economicamente”, sicché non sarebbe accettabile dal punto di vista sistematico fissare l’autosufficienza economica come presupposto del diritto del mantenimento del figlio e non farlo, invece, per l’ex coniuge.
Conclude la Corte, che, ferma la «… la distinzione bifasica della valutazione dell’an debeatur dell’assegno, dipendente dalla inadeguatezza dei mezzi, dalla individuazione del quantum debeatur, …. l’analisi delle condizioni indicate dalla legge per la determinazione della concreta misura del contributo mostra come il legislatore abbia preso in considerazione proprio le condizioni fondamentali caratterizzanti il regime economico della coppia durante la vita matrimoniale (quali il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune e la durata del matrimonio».
«Ritiene pertanto la Corte che la misura in esame rimanga pur sempre forma di protezione del coniuge economicamente più debole a fronte del sostanziale deterioramento delle proprie condizioni personali di vita dipendente dallo scioglimento del matrimonio, parametrate al livello di benessere e di soddisfacimento delle esigenze di sostentamento e cura della persona, come degli interessi di accrescimento culturale o di svago, nei soli limiti in cui rappresentino legittime aspirazioni in quanto riconducibili ad aspetti fondamentali della personalità meritevoli della tutela riconosciuta dall’art. 2 della Costituzione. Rispetto a tale livello, variabile caso per caso, deve valutarsi in concreto l’inadeguatezza delle risorse del richiedente ai fini di verificare la possibilità di contribuzione dell’ex coniuge in considerazioni della consistenza del patrimonio e dei redditi dello stesso, da graduare poi nel quantum in relazione agli altri indici di quantificazione menzionati dallo stesso art. 5 della legge».
Ne consegue che non potendosi considerare la semplice sperequazione reddittuale come il fondamento del diritto all’assegno
«graverà sul richiedente l’ onere di allegare e provare i fatti concreti idonei a rappresentare quali fossero le condizioni personali di cui legittimamente e ragionevolmente fruiva quali attributi fondamentali della personalità in costanza di matrimonio (parametrate al livello di benessere e di soddisfacimento delle esigenze di sostentamento e cura della persona, come degli interessi di accrescimento culturale o di svago), e la mancanza di redditi e risorse patrimoniali che consentano di farvi fronte».
E nel caso esaminato dalla Corte proprio il mancato assolvimento di quest’onere probatorio ha comportato il rigetto della domanda proposta dall’appellante.