Ai fini dell’attribuzione dell’assegno di mantenimento nella separazione, rileva solo la capacità lavorativa concreta del coniuge richiedente l’assegno. Il giudice deve tenere in considerazione di ogni fattore individuale e ambientale, e non basarsi su valutazioni astratte ed ipotetiche.
Il giudizio sull’adeguatezza dei redditi nella separazione, poiché ancora intatto il dovere di assistenza materiale, rimane ancorato al tenore di vita goduto dal coniuge durante il matrimonio.
Con ordinanza del 4 dicembre 2017 n. 28938, la Cassazione ribadisce la distinzione tra l’assegno di mantenimento nella separazione e l’assegno divorzile.
A determinare l’entità del mantenimento nel giudizio separativo è ancora il tenore di vita goduto dal coniuge durante il matrimonio.
La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, aveva disposto un aumento dell’assegno in favore della moglie (da 2000 a 2900 euro), accertando l’assenza di una capacità lavorativa, per la scelta condivisa di dedicarsi alla famiglia.
Dal raffronto delle due situazioni patrimoniali e reddituali era emerso che il marito era un professionista affermato e proprietario di numerosi immobili, mentre la moglie non aveva altre fonti di reddito se non l’assegno percepito dal coniuge e non disponeva di proprietà immobiliari.
Per la casa coniugale, inoltre, il solo canone di locazione ammontava a 1.800 euro mensili.
Con ricorso in Cassazione, il marito sostiene che la Corte territoriale non avrebbe applicato correttamente il principio secondo cui il contributo economico ex art. 156 c.c. deve essere ricondotto entro termini di ragionevolezza, equità ed equilibrio.
La moglie avrebbe ottenuto un contributo economico per il canone di locazione superiore alle sue effettive esigenze abitative.
I giudici d’appello non avrebbero inoltre considerato l’insufficienza del reddito del ricorrente rispetto agli ulteriori oneri imposti dalla sentenza impugnata.
Negli atti difensivi, il ricorrente aveva fatto rilevare, infine, che non era stata considerata la capacità lavorativa della moglie.
In merito a quest’ultimo motivo di censura la Cassazione ha ribadito il suo orientamento secondo cui l’attitudine del coniuge al lavoro rileva solo se si accerti la concreta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni fattore individuale ed ambientale, e non in base a valutazioni astratte e ipotetiche.
Nel caso di cui alla Cass. Civ. n. 789/2017, una donna, casalinga quarantenne, aveva inviato il proprio curriculum a diverse strutture alberghiere e in passato aveva lavorato gratuitamente presso il negozio del fratello, ma tali circostanze, non sono state valutate come prova della effettiva possibilità da parte della donna di ottenere una collocazione nel mondo del lavoro.
Quanto alla correttezza del parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio in relazione alla commisurazione dell’assegno separativo, la Corte osserva, in linea con le recenti statuizioni, che la separazione personale, a differenza divorzio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale.
Pertanto i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento in favore del coniuge, in assenza della condizione impeditiva dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Nella separazione rimane intatto il dovere di assistenza materiale, dovere che si differenzia dalla solidarietà post coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Crf. Cass. Civ. n. 12196 del 16/05/2017).