Cassazione civile , sez. III, sentenza 23.09.2014 n° 20003 (Michele Iaselli)
La Corte di Cassazione, III sez. civile, con la sentenza in argomento si sofferma in particolare sulla corretta configurabilità e valutazione del lucro cessante in una causa avente ad oggetto una richiesta di risarcimento danni patiti a seguito di un incidente stradale.
La Suprema Corte nel riformare parzialmente la decisione della Corte di Appello di Milano sostiene che il danno da lucro cessante possa essere riconosciuto allorché sussista documentazione idonea a dimostrare la riduzione concreta del guadagno futuro a prescindere dalle risultanze della CTU nello specifico non attestanti la riduzione della capacità lavorativa sotto il profilo medico-legale.
Inoltre, la Corte ritiene che non sia necessario che la prova circa la riduzione futura della capacità di guadagno venga fornita attraverso le dichiarazioni dei redditi riferite agli anni successivi al verificarsi del sinistro, in quanto la valutazione prognostica del pregiudizio economico proiettantesi nel futuro consente anche di avvalersi di altra documentazione o presunzioni semplici (nella specie non contrastate ovvero contraddette da prove diverse o contrarie specularmene addotte ex adverso), salva determinazione equitativa del quantum risarcitorio in assenza di prova certa offerta dalla parte istante. Difatti la valutazione equitativa prevista dall’art. 1226 c.c. è consentita in generale ogni qualvolta il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, mancando un rigido parametro obiettivo nell’ordinamento positivo, sicché tale ampia previsione comprende anche i casi nei quali l’impossibilità di precisione nella prova attenga soltanto ad alcune delle componenti del danno complessivo.
Si ricorda che il lucro cessante deve essere risarcito quando sia provato che il danno si produrrà nel futuro secondo una ragionevole e fondata previsione e non solo in caso di assoluta certezza. Tuttavia, poiché il grado di ragionevole attendibilità del prodursi del danno in futuro varia secondo le circostanze concrete, di esso deve tenersi conto ai fini della misura del risarcimento. D’altro canto con l’espressione lucro cessante si fa riferimento alla violazione di un diritto non ancora maturato, ovvero alla lesione di un bene non ancora presente nel patrimonio del soggetto, il cui ristoro è legato alla impossibilità di realizzare l’arricchimento tipico dell’acquisizione di un nuovo diritto. E che, di conseguenza, si proietta nel futuro, richiedendo una “ragionevole” certezza in ordine al suo accadimento.
L’organo giudicante coglie, inoltre, l’occasione per precisare che ai fini della quantificazione del danno da lucro cessante da inabilità temporanea ai sensi dell’art. 2056, 2° comma, c.c. è possibile operare, in via presuntiva, una ricostruzione dello stato di salute del danneggiato e della sua conseguente inabilità al lavoro con riguardo tanto al periodo di totale inattività (nel caso di specie 30 giorni) quanto a quello di attività ridotta del 75% (60 giorni), quanto ancora a quello di attività ridotta del 50% (75 giorni).