Cassazione Civile, sez. III, sentenza 07/10/2016 n°20206
Il risarcimento del danno morale non tiene conto del paese di residenza della vittima: Cassazione Civile Sezione III 7 ottobre 2016 n. 20206.
Il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà il risarcimento, è un elemento esterno, come tale ininfluente sulla misura del risarcimento del danno.
Il fatto
In sinistro stradale ove erano deceduti entrambi i genitori come trasportati, la Corte d’appello riteneva che il risarcimento del danno doveva attenere al luogo dove vivevano i danneggiati (Senegal). I congiunti delle vittiem ricorrevano in Cassazione.
La decisione
E’ lecito tener conto del paese di residenza dei danneggiati, cioè il Senegal (ove il valore dell’euro è superiore che in Italia), sebbene equivalga per i danneggiati ricevere un risarcimento superiore a quello che sarebbe stato loro concesso in Italia, laddove residenti.
Il Supremo Collegio prende le distanze dall’insegnamento di Cass. sez. 3, n. 14 febbraio 2000, n. 1637, ove il risarcimento del danno doveva tener conto anche della realtà socio economica in cui vive il danneggiato e del potere di acquisto: non l’entità delle soddisfazioni doveva variare, ma la quantità di denaro necessario a procurarle.
Con sentenza n. 7932 del 18 maggio 2012, la III sezione ritornò sull’argomento, ma questa volta affermò che il fatto illecito aqulliano si compone di soli tre elementi essenziali: condotta illecita, danno e nesso causale, mentre il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà od investirà il risarcimento a lui spettante, è invece un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell’illecito, un posterius, come tale ininfluente sulla misura del risarcimento del danno. Più recentemente, la III sezione, con sentenza 13 novembre 2014, n. 24201, prese uleteriri distanze dall’arresto del 2000 e manifestò maggiore adesione all’arresto del 2012 aggiungendo due ulteriori elementi di sostegno: da un lato, l’obbligo di non discriminare gli stranieri racchiuso nell’articolo 3 Cost. (al riguardo richiamando le sentenze nn. 252/2001 e 106/2008 della Corte Costituzionale) e, dall’altro, la necessità dì una certezza risarcitoria nel senso della uniformità, emersa soprattutto dalla nota pronuncia che ha individuato la relativa concretizzazione dell’equità nelle tabelle di Milano (Cass, sez. 3, 7 giugno 2011, n. 12408).
Il valore di ogni persona è intrìnseco alla sua umanità, per cui non può subire alcuna deminutio in base ad elementi che su tale umanità non incidono: tale d’altronde è la ratio del principio costituzionale di uguaglianza condivisibilmente richiamato dall’arresto del 2014.
Dismettendo proprio nell’incipit della legge fondamentale le discriminazioni – id est, le distinzioni giurìdicamente illogiche – che pesantemente intridevano in precedenza le strutture normative (sesso, razza, religione, posizione personale e sociopolitlca), il legislatore costituzionale ovviamente inibisce una liquidazione risarcitoria ove si imponga come parametro per il risarcimento per equivalente della sua perdita il valore della moneta con cui viene concretizzato nel luogo dove risiede chi tale perdita ha subito. Questa sentenza, pertanto, pone fine alla impostazione “valutaria” del risarcimento del danno.