Con la sentenza n. 345/16 pubblicata il 31.03.2016, il Tribunale di Macerata, nel rigettare l’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da una Banca nei riguardi di una Società debitrice e del suo fideiussore, affronta alcuni temi rilevanti e, inoltre, offre una motivata applicazione della condanna “sanzionatoria” ex art. 96 c.p.c. comma 3.
Il fatto
La Banca otteneva, nei confronti della Società debitrice e del suo fideiussore, un decreto ingiuntivo per € € 108.348,00 dovuti in relazione ad un prestito chirografario non onorato. Il decreto veniva ritualmente notificato alla Società ed irritualmente notificato al fideiussore ad un indirizzo con numero civico errato. Tale ultima notifica, previa rimessione in termini da parte del Giudice, veniva utilmente rinnovata seppure oltre il termine di legge.
Società e fideiussore proponevano opposizione al decreto ingiuntivo ed eccepivano:
la presunta inefficacia del decreto opposto in quanto notificato oltre il termine di 60 giorni dalla sua emissione
il disconoscimento della firma apposta dal fideiussore “nella fideiussione del 28.05.10 in quanto la sottoscrizione è apocrifa”
la pretesa qualifica del fideiussore quale “consumatore” e, conseguentemente, la ritenuta incompetenza per territorio del Tribunale di Macerata in favore di quello di Fermo
la presunta mancanza di interesse ex art. 100 c.p.c. della Banca nei riguardi della Società debitrice in quanto in attesa di omologa della domanda di concordato preventivo avanzata dalla stessa dinanzi al Tribunale di Fermo.
La Banca si costituiva in giudizio contestando tale eccezioni e chiedendo anche la condanna degli opponenti ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c.
La sentenza
Il Tribunale di Macerata, nel respingere l’opposizione, affermava i seguenti principi:
Nel caso di specie invece la notifica è avvenuta ed è avvenuta nei confronti del soggetto esattamente indicato e alla via di sua residenza, ma è risultata invalida, id est nulla, per un errore nell’indicazione del numero civico (26 piuttosto che 56), indice di una chiara volontà dell’opposta di avvalersi del titolo esecutivo, con l’esclusione della presunzione di abbandono del titolo che è il presupposto della previsione di inefficacia di cui all’art. 644 c.p.c. Si applica invece nella fattispecie in esame l’ art. 291 c.p.c. che prevede l’ordine di rinnovazione della citazione per nullità, estendibile anche ai casi di nullità della notificazione nell’ambito del procedimento di ingiunzione;
La perizia grafologica non costituisce un mezzo imprescindibile per la verifica dell’autenticità della sottoscrizione, potendo il giudice evitare di fare ricorso ad essa ove tale accertamento possa essere effettuato direttamente sulla base degli elementi acquisiti nel corso del procedimento, e tra di loro elementi logici di manifesta evidenza (come, nella fattispecie, la presenza in atti di altro documento, non contestato, a firma dello stesso fideiussore con sottoscrizione palesemente uguale a quella contestata);
L’applicabilità del foro del consumatore è escluso quando il contratto di fideiussione sia concluso a garanzia di un debito contratto da un soggetto che agisce nell’ambito della sua attività professionale (ex multis Cass. 25212/2011). In presenza di un contratto di fideiussione è all’obbligazione garantita che deve riferirsi il requisito soggettivo ai fini dell’applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore, attesa l’accessorietà dell’obbligazione del fideiussore all’obbligazione garantita;
La presentazione della domanda di ammissione della società debitrice alla procedura di concordato preventivo appare del tutto irrilevante ai fini dell’interesse ad agire in sede monitoria della banca opposta, in capo alla quale permane l’interesse a mantenere il titolo esecutivo nei confronti della società inadempiente anche se questo non potrà per il momento essere attivato come specificato dall’art. 168 l. fall.;
La norma di cui al comma 3 dell’art. 96 c.p.c. conserva, in parte e necessariamente, anche una finalità riparatoria, altrimenti non sarebbe razionalmente giustificabile che il giudice condannasse, anche d’ufficio, il soccombente al pagamento di una somma in favore della controparte, invece che dello Stato. Se la tutela contro gli effetti collaterali del processo, nel bilanciamento degli opposti interessi, è recessiva al cospetto dell’esercizio del diritto fondamentale di difesa ex art. 24 cost. da parte del soccombente incolpevole o che agisca anche con colpa lieve, essa assume invece rilevanza ex se, anche a fini risarcitori – appare questa la ratio della disposizione di cui al terzo comma dell’art. 96 – di fronte alle iniziative o alle resistenze processuali abusive, coltivate con mala fede o colpa grave, che per questo non rappresentano esercizio del diritto di difesa, ma mere attività ostruzionistiche, dilatorie o poste in essere con sviamento delle prerogative difensive. Senza mancare di considerare che un processo introdotto a causa di un’iniziativa o di una resistenza temeraria è un processo la cui esistenza e la cui integrale durata è ontologicamente irragionevole ai sensi dell’art. 6 della Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo e dell’art. 111 cost (cfr. Cass. Civ. 7559/2010; 24645/2007).
Inoltre, come perspicuamente evidenziato da attenta giurisprudenza “con la nuova previsione dell’art. 96 comma viene introdotta una fattispecie a carattere sanzionatorio che prende le distanze dalla struttura tipica dell’illecito civile per confluire nelle c.d. condanne punitive, e con la quale il giudice può (e, invero, deve) responsabilizzare la parte ad una giustizia sana e funzionale, scoraggiando il contenzioso fine a sé stesso che, aggravando il ruolo del magistrato e concorrendo a rallentare i tempi di definizione dei processi, crea nocumento alle altre cause in trattazione mosse da ragioni serie e, spesso, necessità impellenti o urgenti nonché agli interessi pubblici primari dello Stato.” (Tribunale Varese, 23/01/2010)
La determinazione equitativa della somma al pagamento va individuata secondo i seguenti parametri: valore della controversia, qualità delle parti, oggetto e natura della controversia, durata del procedimento, condotta assunta nel corso del processo dal soccombente e dunque l’intensità dell’elemento soggettivo, la gravità della condotta di abuso del pro-cesso e l’incidenza sulla sua durata e sul diritto alla ragionevole durata del processo, che la Corte Europea di Strasburgo liquida in una somma compresa fra € 1.000,00 ed € 1.500,00 per ciascun anno di ritardo, salvo aumenti o diminuzioni sul caso concreto. (cfr. Tribunale Varese, 21.1.2011, Tribunale Terni, 17 maggio 2010, n. 441; Tribunale Bari, sez. I, 10 maggio 2010, n. 1600; Cass. Penale, 5300/2011; Cass. civ. 20995/2011; Cass. civ. 17523/2011; 3993/2011; 17902/2010).
Si terrà conto, infine, a titolo meramente indicativo e nell’ottica di un’auspicabile tendenziale uniformazione e prevedibilità di massima delle decisioni giurisdizionali, anche dei criteri elaborati in seno agli osservatori istituiti presso alcuni Tribunali italiani (vedi da ultimo quello pubblicato dall’Osservatorio “Valore Prassi” presso il Tribunale di Verona che prevede l’individuazione della “sanzione” di cui al comma terzo dell’art. 96 c.p.c. nell’ambito di in uno spettro compreso tra un minimo di un quarto della somma liquidata a titolo di spese di lite, esclusi gli accessori, fino ad un massimo del doppio della somma liquidata a titolo di spese di lite, come peraltro già previsto anche dall’art. 385, ultimo comma, c.p.c.).
(Altalex, 26 maggio 2016. Nota di Renato Perticarari)