Con la sentenza 28 marzo 2017, n. 7965, la Corte di Cassazione, si pronuncia in materia di disconoscimento della paternità e in particolare sui fatti posti a fondamento della domanda volta a far dichiarare l’inesistenza del legame biologico.
La domanda di disconoscimento di paternità era stata proposta dall’attore sul presupposto della sua impotenza a generare. Dalla CTU era emerso che la sua non era un’incapacità totale (azoospermia severa ma non assoluta) e inoltre, secondo la Corte d’appello, l’azione era stata proposta quando era già decorso il termine di decadenza annuale previsto dall’art. 244 c.c. comma 2, poiché risultava che egli avesse saputo della sua condizione dal 1995, anno in cui si era sottoposto a pratiche mediche per avere un figlio.
Nel giudizio di appello, l’uomo aveva dedotto anche il fatto dell’adulterio della moglie, poiché il figlio era nato da una fecondazione eterologa praticata dalla stessa moglie a sua insaputa.
Di ciò egli aveva acquisito conoscenza certa soltanto in seguito della confessione della donna avvenuta in Tribunale.
Mediante l’azione di disconoscimento della paternità si mira a superare lo stato di figlio attribuito per effetto delle presunzioni di legge in caso di nascita nel matrimonio, negando la paternità di chi al contrario risulta essere padre in base all’atto di nascita.
La materia è stata riformata quasi interamente con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 154/2013.
Secondo il nuovo articolo 243 bis c.c. l’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio stesso.
Chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre. La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.
Il marito può esercitare l’azione o entro l’anno dalla nascita o dalla scoperta dell’adulterio della moglie o della propria impotenza all’epoca del concepimento.
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione afferma che, nell’azione di disconoscimento della paternità – che mira all’accertamento negativo dello status di figlio risultante dall’atto di nascita – petitum e causa petendi restano identici e unici, e non ha rilevanza quali siano i fatti, nell’ambito di quelli tipizzati dal legislatore (art. 244 c.c.), esposti a sostegno della pretesa.
La modificazione dei predetti fatti è consentita nel corso del giudizio, in quanto non comporta la proposizione di una domanda nuova, purché sia rispettato il principio del contraddittorio e della deducibilità di nuove prove nelle varie fasi del giudizio.
Per quanto riguarda il termine per disconoscere il figlio in caso di adulterio, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che il decorso del termine annuale abbia inizio dalla scoperta della relazione extraconiugale.
La possibilità di utilizzare le prove genetiche presuppone il rispetto, da parte del marito che agisca in giudizio, del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c., a decorrere, però, dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza certa dell’adulterio e non come semplice sospetto (Cass. Civ. n. 14556/2014, n. 15777/2010).
Pertanto, la prova tecnica è sempre possibile anche per dimostrare l’adulterio, ma ciò non incide comunque sul decorso del termine di un anno, che ha inizio dalla conoscenza del fatto, quale che sia la fonte del convincimento.
Inoltre, come da attuale orientamento della giurisprudenza della Cassazione, le norme sul disconoscimento di paternità sono applicabili anche alla filiazione derivante da fecondazione artificiale, alla luce dell’interpretazione secondo il principio del favor veritatis, della legge n. 40/2004.
Pertanto, per ragioni sistematiche e d’identità di ratio, il termine di decadenza previsto dall’art. 244 c.c. è applicabile anche in tale ipotesi e decorre dal momento (comunque successivo alla nascita) in cui sia acquisita la certezza del ricorso al metodo di procreazione assistita (Cass. Civ. n. 11644/2012).