La Corte di Cassazione, con sentenza n. 449 del 10.01.2013, torna a ritenere elusivo lo “schema” composto da una donazione di un bene (un terreno nel caso in oggetto) alla quale segue, successivamente, la vendita dello stesso.
La ratio è quella di evitare che, attraverso istituti giuridici previsti dall’ordinamento giuridico, si realizzi lo scopo di sottrarre alla corretta tassazione un reddito.
Nella vicenda di cui alla sentenza in commento, l’amministrazione finanziaria, con avviso di accertamento emesso ai fini IRPEF per l’anno 2000, aveva recuperato a tassazione la plusvalenza realizzata dalla cessione di un terreno, avvenuta in data 12.05.2000, che il contribuente aveva pochi mesi prima (in data 29.12.99) donato ai propri figli.
L’amministrazione riteneva potesse trovare applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, che prevede l’imputabilità al contribuente dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando egli ne risulti l’effettivo possessore per interposta persona.
L’Agenzia delle entrate, traeva la propria convinzione dalla sussistenza di alcuni elementi indiziari e presuntivi, tra i quali la vicinanza temporale tra i due atti (donazione e vendita), la mancata restituzione della caparra al promittente venditore – donante e lo stretto rapporto di parentela tra donante e donatari.
La tesi dell’Amministrazione finanziaria veniva accolta dalla Commissione tributaria provinciale, ma la decisione veniva poi ribaltata in appello.
Avverso tale decisione, proponeva ricorso per Cassazione, articolato su quattro motivi, l’Agenzia delle Entrate
Il Giudice di legittimità accogliendo le doglianze dell’ente impositore, chiarisce che la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta.
Ne consegue che, l’ambito di applicazione della norma in oggetto non si esaurisce soltanto nell’istituto della simulazione relativa, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali.
La Cassazione censura quindi la decisione della Commissione Tributaria Regionale, ritenendo che il carattere reale e non simulato delle operazioni giuridiche non è da solo sufficiente ad escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione.
Infine, la Suprema Corte censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui ritiene che gli elementi indiziari offerti dall’amministrazione (vicinanza temporale, mancata restituzione della caparra, stretto legame di parentela) non siano sufficienti a supportare la pretesa fiscale.
La Cassazione conferma che la prova della natura elusiva delle operazioni poste in essere dal contribuente può scaturire anche da mere presunzioni.
Spetta, invece, al contribuente fornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche alternative che giustifichino l’operazione effettuata.
In conclusione, con la sentenza in commento, la Cassazione ribadisce due principi già affermati con precedenti pronunce. In particolare, non sono opponibili all’amministrazione finanziaria gli atti posti in essere dal contribuente che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale. Inoltre, spetta al contribuente fornire la prova dell’esistenza di ragioni economiche alternative, non meramente teoriche, in grado di giustificare le operazioni poste in essere.
(Altalex, 27 febbraio 2013. Nota di Michele Vanolli)