Nel giudizio di opposizione al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, la sentenza che tiene luogo del consenso mancante del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio, può disporre direttamente sull’affidamento e il mantenimento del minore.
Non è necessario il successivo atto di riconoscimento per il sorgere dei diritti del figlio e per la regolamentazione della responsabilità genitoriale.
Il Tribunale di Prato, nell’emissione di sentenza che tiene luogo del consenso mancante al riconoscimento del minore, ha ritenuto conforme ai principi di diritto contenuti nelle leggi nazionali e internazionali, la decisione contestuale sull’affidamento e il mantenimento (Trib. Prato n. 652 del 27.7.2017).
Il caso
La coppia aveva avuto una fugace e burrascosa relazione dalla quale era nata una bambina. La donna aveva denunciato l’uomo per il comportamento violento tenuto nei suoi confronti, dal quale era scaturito il procedimento penale, non ancora concluso, per i reati di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori.
Il GIP aveva emesso in via cautelare un divieto di avvicinamento all’ex compagna.
Essendosi opposta al riconoscimento della bambina da parte del padre, questi aveva depositato ricorso ai sensi dell’art. 250 c.c., per ottenere un provvedimento che sostituisse il consenso mancante.
Chiedeva inoltre l’attribuzione del proprio cognome alla figlia ex art. 262 c.c. e la statuizione sull’affidamento e il mantenimento.
Il Tribunale nominava un curatore per la minore dell’età di 21 mesi, stante l’ipotetico conflitto di interessi della figlia con la madre, che si opponeva al riconoscimento ritenendo il comportamento violento del padre pregiudizievole e pericoloso per la sana crescita della bambina.
La causa è stata istruita con una CTU volta ad indagare le capacità genitoriali ed educative delle parti.
La sentenza
Il provvedimento del tribunale Toscano, preliminarmente, fa il punto sulla giurisprudenza di legittimità in tema di rifiuto del consenso al riconoscimento.
Il principio ormai consolidato è che dal riconoscimento non deve derivarne un beneficio per il figlio, ciò che rileva è l’esclusione di un qualsiasi motivo grave e irreversibile che potrebbe compromettere lo sviluppo psicofisico del minore (Cass. Civ. n. 2878/2005 e Cass. Civ. n. 4/2008).
A parere dell’organo giudicante, la misura restrittiva non può essere considerata grave e irreversibile motivo, essendo ancora il procedimento in corso, e trattandosi di un primo ed isolato episodio.
Inoltre, il padre della minore ha sempre dimostrato concreto interesse per la piccola, chiedendo informazioni durante la gravidanza e manifestando ripetutamente la volontà di riconoscere la figlia.
Anche dall’osservazione in sede peritale era emersa una buona interazione padre/figlia e un atteggiamento piuttosto collaborativo della madre.
Statuendo sul consenso al riconoscimento, il Tribunale di Prato, nell’interesse della minore ha adottato contestualmente i provvedimenti opportuni di affidamento e mantenimento, in maniera conforme a quanto disposto dall’art. 250 IV comma c.c.
Sul punto, i giudici non hanno aderito al recente orientamento del Tribunale di Milano che nega tale possibilità poiché lo status di figlio non sussisterebbe fino a quando non sia effettuato il riconoscimento. La parte, ottenuta l’autorizzazione, potrebbe non dar corso al riconoscimento (Trib. Milano 16 aprile 2016).
Una tale interpretazione contrasterebbe con lo spirito della riforma della filiazione del 2012 che ha abolito la distinzione tra figli naturali e legittimi.
L’assunzione dei diritti e dei doveri non è subordinata al riconoscimento e ciò si evince dall’abrogazione dell’art. 261 c.c., dai nuovi artt. 315 e 315 bis c.c. che sanciscono il diritto del “figlio” ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito dai genitori.
Anche secondo la Corte di Cassazione, tali diritti del figlio sono “eziologicamente connessi alla procreazione” (Cass. Civ. n. 5562/2012 e Cass. Civ. n. 26205/2013).
Pertanto, nel giudizio in oggetto l’atto di riconoscimento del figlio, condiziona esclusivamente la valenza dello status di figlio rispetto ai terzi e il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, in considerazione dei profili di pubblicità derivanti dalla registrazione negli archivi dello stato civile.
La sentenza che tiene luogo del consenso mancante del genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento potrà essere direttamente annotata nell’atto di nascita del minore ai sensi dell’art. 49 comma 1 lett. K del D.p.r. 396/2000, avendo il genitore già manifestato nelle forme di legge la volontà di riconoscimento attraverso il ricorso giudiziale.
La proposizione del ricorso contenente tale volontà non può, infatti, essere revocata ai sensi dell’art. 256 c.c.
In tale giudizio può essere decisa anche l’attribuzione del cognome del genitore che ha eseguito il riconoscimento successivamente.
Nel caso di specie il tribunale ha ritenuto di accogliere la domanda del padre di aggiungere il suo cognome a quello della madre, valutando la conformità agli interessi della minore.
Alla tenera età di 21 mesi il cognome materno non ha ancora assunto attitudine identificatrice e con l’aggiunta del cognome paterno la bambina potrà maturare il percorso che ha portato al suo riconoscimento paterno.
La minore è stata pertanto affidata ad entrambi i genitori, con previsioni di incontri padre/figlia graduali e protetti, oltre al monitoraggio del nucleo familiare da parte del servizio sociale.