Cassazione Civile, sez. III, sentenza 13/10/2016 n° 20630
Un 15enne, promessa del calcio, rimaneva gravemente leso in un sinistro stradale. Il Tribunale gli liquidava quasi due milioni di euro. Nella pretesa di una più cospicua liquidazione, la sentenza veniva impugnata dapprima in appello, dove le doglianze venivano accolte parzialmente, ed in seguito innanzi la Cassazione.
Essendo verosimile che il ragazzo avrebbe svolto l’attività di calciatore professionista, lamentava che entrambi i giudici di merito avessero sottostimato il danno da perdita della capacità di lavoro, che avrebbero, quindi, dovuto liquidare ponendo a base del calcolo non le metà del presumibile ingaggio di un calciatore militante in una squadra di “serie A”, come operato dal giudice di merito, bensì per intero.
Il motivo viene dichiarato, dal collegio, manifestamente inammissibile, in quanto sollecita, in sede di legittimità, una nuova e diversa valutazione dei fatti. Ma la III Sezione civile si spinge oltre, avallando il criterio seguito dai due giudici di merito. In particolare la vittima era un promettente calciatore, ma aveva 15 anni.
Il Tribunale aveva posto alla base del calcolo di liquidazione la metà del reddito di un calciatore di “serie A”, sull’evidente presupposto che se fosse rimasto sano, il ragazzo avrebbe raggiunto quel livello di reddito non subito, bensì soltanto a seguito di un certo numero di anni. Ciò posto, invece di calcolare il danno su redditi crescenti (ad esempio, 100 il primo anno, 120 il secondo, e via dicendo), lo calcolava in base ad un valore medio, facendo puntuale applicazione dell’art. 1226 c.c.
In merito alla mancata liquidazione del danno da perdita di chance di successo professionale, il collegio, dichiarando la manifesta infondatezza, afferma che “Un danno da perdita di chance è ovviamente alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito. Se c’è l’uno non può esserci l’altro, e viceversa. Delle due, infatti l’una; o la vittima dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, ed allora la spetterà il risarcimento del lucro cessante; ovvero la vittima non dà quella prova, ed allora le può spettare il risarcimento del danno da perdita di chance”.
Il Tribunale aveva infatti liquidato alla vittima il risarcimento del danno patrimoniale da perdita dei redditi futuri, e dunque correttamente non prendeva in esame l’ipotesi della perdita di chance.
Il giudice di legittimità osserva che se si sommasse tale risarcimento a quello da lucro cessante, si realizzerebbe una duplicazione risarcitoria, e la vittima verrebbe addirittura a trovarsi in una situazione patrimonialmente più favorevole di quella in cui si sarebbe trovata se fosse rimasta sana.
Il ricorrente lamentava, inoltre, che il giudice territoriale avesse violato le regole legali di liquidazione del danno, non avendo proceduto alla cd. “personalizzazione” del risarcimento.
I giudici ermellini spiegano che non esistono pregiudizi non patrimoniali tra loro “ontologicamente” differenti, bensì esiste la categoria giuridica del danno non patrimoniale, ed in fatto le singole forme concrete che lo stesso può assumere (lesione dell’onore, della reputazione, del nome, della salute, e via dicendo).
Da ciò consegue che per stabilire se il giudice di merito abbia rispettato o meno i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale non si deve avere riguardo alle formule definitorie dal medesimo utilizzate (quali “danno morale”, “danno biologico”, “danno alla vita di relazione”), bensì occorre esaminare quali siano stati i concreti pregiudizi dedotti dalla vittima e provati, e quali i pregiudizi dei quali il giudice ha tenuto conto in sede di monetizzazione.Ribadiscono, infine, che non è consentito appellare pregiudizi identici con nomi diversi, per pretenderne una doppia valutazione e liquidazione.