Morte da incidente stradale: anche la fidanzata non convivente può invocare un danno
Cassazione penale , sez. IV, sentenza 10.11.2014 n° 46351
In tema di risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, secondo la sentenza 10 novembre 2014, n. 46351 della Corte Suprema il riferimento ai “prossimi congiunti” della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l’ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se e in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali.
Il caso giudiziario e il percorso motivazionale seguito dalla cassazione
Con sentenza 8 ottobre 2012 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado – con la quale il Tribunale di Milano, in data 10 ottobre 2011, condannava Tizio del reato di omicidio colposo, per avere cagionato, in concorso con Caio, per colpa consistita nella violazione della disciplina in materia di circolazione stradale, la morte del pedone Mevio – rideterminava l’ammontare della somma liquidata, a titolo di provvisionale, in favore della parte civile costituita.
Avverso la sentenza del Giudice di secondo grado interponeva gravame di legittimità il difensore del responsabile civile deducendo la violazione dell’art. 74 cod. proc. pen. e dell’art. 2697 cod. civ. con riferimento sia alla risarcibilità del danno subito dalla fidanzata non convivente della vittima dell’incidente stradale, sia rispetto alla non corretta applicazione della disciplina dell’onere probatorio, nel caso di richiesta risarcitoria ex art. 185 cod. pen.
Segnatamente, la difesa deduce che la Corte territoriale, a fronte della specifica doglianza in punto risarcimento in favore della fidanzata non convivente della vittima del sinistro stradale, si era limitata a ridurre l’importo liquidato a titolo di provvisionale in favore della stessa. Ciò in quanto la difesa del responsabile civile, lungi dal prendere le distanze dalla consolidata giurisprudenza formatasi in tema di parificazione dei diritti, anche risarcitori, tra coppie sposate e coppie di fatto conviventi, tuttavia riteneva che poiché nel caso di specie non fosse ravvisabile alcuna convivenza tra la fidanzata della vittima e quest’ultima, l’onere probatorio gravante in capo alla fidanzata, che avanzava pretese risacitorie per la lesione del rapporto sentimentale con lo stesso, avrebbe dovuto essere valutato in maniera rigorosa, non potendo trovare quartiere, sul piano risarcitorio, delle semplici presunzioni in favore del partner non convivente, rispetto alla prova della sussistenza di un saldo vincolo affettivo, la cui lesione solamente risulta meritevole di risarcimento. Nel caso di specie, a parere della difesa del responsabile civile, la Signora Sempronia non aveva provato l’esistenza di un rapporto di fidanzamento con la vittima, così come non aveva provato appropriatamente la saldezza e la profondità del legame, tali da rendere l’interruzione del medesimo rapporto meritevole di risarcimento.
Del resto, pur sempre a parere della difesa, il fatto stesso che la giurisprudenza riconosca tutela alla convivenza more uxorio costituisce la più eloquente conferma del principio che limita il diritto al risarcimento dei danni alla lesione dei soli rapporti affettivi più elevati.
La Corte di cassazione con un sintetico ma pur sempre lineare e corretto excursus circa la risarcibilità dei danni ai prossimi congiunti della vittima primaria ed in ordine alla nozione enucleatasi a livello giurisprudenziale di “prossimi congiunti”, ha riconosciuto la risarcibilità in astratto dei danni iure proprio patiti dalla fidanzata non convivente della vittima primaria, evidenziando come a rilevare sul piano dell’an debeatur non sia tanto la sussistenza di rapporti di parentela o di affinità così come civilisticamente definiti, quanto piuttosto la sussistenza di un rapporto tra due soggetti, il quale risulti caratterizzato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti; con la conseguenza che, in tale prospettiva, i parametri costituzionali dovranno individuarsi non già negli artt. 29 e 30 Cost., quanto piuttosto nell’art. 2 Cost. il quale accorda rilievo alla sfera relazionale personale in quanto tale e non richiede necessariamente la ravvisabilità di un rapporto di coniugio tra due soggetti legati sul piano affettivo.
Tuttavia, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza della Corte territoriale evidenziando come la sentenza impugnata risultasse carente sul piano del tessuto motivazionale, sia rispetto alla verifica di fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dalla parte civile, sia in riferimento alla quantificazione del danno in favore della medesima, valutazione non fondata su alcun conferente elemento di prova.
Sulla nozione di “prossimi congiunti” e sulla risarcibilità dei danni non patrimoniali dai medesimi patiti iure proprio
La sentenza in commento offre alimento alle seguenti considerazioni in materia di risarcimento danni ai prossimi congiunti di vittime primarie di reati.
Costituisce oramai approdo della giurisprudenza il diritto al risarcimento danni in favore dei prossimi congiunti, i quali dimostrino che, in conseguenza del fatto di reato altrui, abbiamo patito un danno consistente nella recisione del legame affettivo intercorrente con la vittima. Con la conseguenza che la perdita del rapporto parentale costituisce fatto generatore di danno risarcibile in favore dei prossimi congiunti quale danno iure proprio.
Trattasi, dunque, anzitutto, di comprendere quali siano i riverberi negativi in che si sostanzia il danno non patrimoniale patito dai prossimi congiunti della vittima primaria di un reato.
La morte di una persona cara può provocare nei superstiti un danno non patrimoniale che, pur essendo unitario quanto alla natura giuridica, nei fatti può manifestarsi sotto diverse sembianze: allo stesso modo, ad esempio, in cui anche il danno patrimoniale pur avendo natura unitaria, può manifestarsi sotto forma di lucro cessante o danno emergente.
Questa è la ragione per la quale dinanzi ad un illecito che abbia causato la morte di una persona non è necessario andare alla ricerca in iure di pur evocative categorie giuridiche di danno, ma è sufficiente individuare in facto e a prescindere da inutili superfetazioni e nomenclature risarcitorie, in quale modo l’illecito ha inciso sulla sfera non patrimoniale dei superstiti.
Le conseguenze non patrimoniali che possono derivare dalla morte di una persona cara possono consistere in una malattia fisica ed in tal caso si versa al cospetto di un danno non patrimoniale che si riverbera sulla validità biologica (in termini di diminuzione permanente e temporanea della validità psico-fisica) della vittima secondaria del reato; ma potrebbe trattarsi, altresì, del dolore e nella sofferenza provocati dalla mancanza della persona cara o della perdita dei benefici morali che il superstite ritraeva dalla compagnia del defunto (gli insegnamenti e l’educazione, come nel caso del minore che perda un genitore); o ancora la amoenitas della vita comune (come nel caso di chi perda un fratello, compagni di studi o di giochi); o ancora il mutuum adiutorium (come nel caso della perdita del coniuge o del partner).
Di tutti questi pregiudizi il giudice dovrà necessariamente tenere conto nella liquidazione, per quanto allegato e provato nel corso del giudizio.
Fatta tale breve rassegna cursoria delle modificazioni in peius che la perdita di un prossimo congiunto Può provocare, si consideri come la nozione di danno patrimoniale debba essere intesa nella sua accezione più ampia di danno da lesione degli interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.
Sulla scorta dell’insegnamento della Corte di Cassazione consultis classibus (Cass. civ., Sez. Un., sentenza n. 26972/2008) il danno patrimoniale costituisce categoria risarcitoria ampia comprendente, altresì, il danno morale, il quale può essere permanente o temporaneo e può sussistere da solo così come unitamente ad altre tipologie di poste risarcitorie non patrimoniali, quali, ad esempio, i danni derivanti da lesioni personali o dalla morte del congiunto. In tale orizzonte giuridico è stato chiarito che il riferimento ai prossimi congiunti della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio cagione del carattere plurioffensivo dell’illecito penale deve intendersi nel senso che in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima è proprio la lesione che colpisce tale situazione affettiva a connotare il danno come non iure e a rendere, per tal guisa, risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate, sempre che le stesse risultino non già meramente allegate, ma altresì confortate, sul piano probatorio, quale danno-conseguenza della fenomenologia illecita; e ciò a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali.
Del resto pur sempre a livello di prassi applicativa si è chiarito che per “convivenza” non deve intendersi la sola situazione di coabitazione tra prossimo congiunto e vittima primaria di un illecito, quanto piuttosto lo stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, con la conseguenza che, in tale prospettiva, i parametri costituzionali a venire in considerazione non sono quelli di cui agli artt. 29 e 30 Cost., quanto piuttosto nell’art. 2 Cost. il quale accorda rilievo alla persona umana intesa sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e, prime tra tutte, quelle primigenie, vale a dire quelle illuminate da un intenso e duraturo legame affettivo, anche ove lo stesso non risulti genetico (id est parentale) o giuridico (id est il legame di affinità).
Dunque, alla luce degli approdi giurisprudenziali sopra considerati, correttamente la Suprema Corte di cassazione ha riconosciuto la configurabilità di un danno a carico della fidanzata non convivente della vittima primaria di un reato, non rilevando, come detto, la sussistenza in termini di necessarietà di un rapporto di coniugio, quanto piuttosto la ravvisabilità e la prova di uno stabile legame tra due persone, connotato da stabilità e significativa comunanza di vita e di affetti.
Pur sempre correttamente il Giudice della Nomofilachia ha annullato la sentenza, accogliendo il ricorso della difesa del responsabile civile, osservando come la Corte di Appello, a fronte della specifica doglianza dedotta dal responsabile civile appunto in sede di gravame, abbia rilevato il riconoscimento di una provvisionale in favore della fidanzata della vittima, giustificandola sulla scorta della brusca ed improvvisa interruzione della relazione affettiva, da cui era scaturito un danno morale risarcibile, senza tuttavia affrontare la problematica della mancata prova o meno della sussistenza di un rapporto di convivenza more uxorio tra i due giovani e senza affrontare ed analizzare la questione di fondo relativa alla natura del rapporto affettivo tra fidanzata e vittima primaria.
Ed in effetti la Corte territoriale non ha tenuto in debito conto gli oneri probatori gravanti in capo a colui che rivendichi il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della morte della persona a cui è legato da relazione affettiva.
Circostanza quest’ultima dotata di estremo e indubbio rilievo, in considerazione del fatto che, secondo i principi generali in materia probatoria, colui che invochi una pretesa risarcitoria iure proprio per perdita di un congiunto o di un soggetto comunque a lei legato da un rapporto affettivo, dovrà in ogni caso allegare e provare l’esistenza di un tale rapporto affettivo e la natura dello stesso, la sua stabilità, intesa non come occasionalità e continuità nel tempo, tale da assumere al momento della verificazione dell’evento lesivo della cui imputazione penale si discute rilievo giuridico.
Spetta dunque, al danneggiato che chieda il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla modificazione in peius dei propri assetti relazionali e della propria sfera personale dare la prova di tale rapporto affettivo stabile, quantunque non connotato da coabitazione, potendo trovare tale conforto probatorio anche facendo ricorso al meccanismo presuntivo.
Sulla base del compendi probatorio e presuntivo a sua disposizione il Giudice del merito dovrà, per parte sua, valorizzando tutti gli elementi del caso concreto, apprezzare ai fini risarcitori la relazione affettiva così come emersa nel contraddittorio delle parti o formatasi a seguito di elezione del rito speciale del giudizio abbreviato, avendo riguardo alla natura ed entità del detto rapporto affettivo.