A seguito dell’introduzione del “domicilio digitale” (D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-sexies, modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), non è più possibile procedere, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, alle comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario davanti al quale pende la controversia e ciò anche se il destinatario ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.
In applicazione del principio sopra trascritto, la Corte di Cassazione con la decisione n. 17048 del 11 luglio 2017 ha ritenuto nulla la notifica della sentenza d’appello eseguita presso la cancelleria della Corte d’Appello posto che la stessa doveva essere notificata alla PEC del destinatario risultante dal REGINDE o da INIPEC.
Alla nullità della notificazione segue l’inidoneità della stessa a far decorrere il termine di impugnazione di cui all’art. 325 cod. proc. civ., con la conseguenza che il ricorso proposto dalla ricorrente prima della scadenza del termine “lungo” previsto dall’art. 327 cod. proc. civ. deve essere considerato tempestivo.
Il principio applicato dalla Suprema Corte è corretto al pari delle conseguenze scaturite dalla sua applicazione; dal 25 giugno 2014 è infatti in vigore l’art. 16 sexies DL. 179/12 introdotto dall’art. 52 del DL 90/14 il quale dispone che:
“Salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonchè dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia.”.
Ciò significa che se il destinatario della notifica non ha eletto domicilio nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa, il difensore dovrà notificare la relativa sentenza (ai fini della decorrenza del termine breve) non in cancelleria ma alla PEC del destinatario risultante dai pubblici elenchi e quindi da INIPEC o dal REGINDE.
Ancora prima dell’introduzione dell’art. 16 sexies DL 179/12, le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 10143 del 20 giugno 2012, avevano di fatto affermato che a seguito dell’obbligo per il difensore di indicare nell’atto il proprio indirizzo PEC (introdotto alla luce delle modifiche degli artt. 366 e 125 c.p.c, apportate dall’art. 25 della L. 12 novembre 2011, n. 183, in vigore dal 1° febbraio 2012) e ciò in quanto “…dopo l’entrata in vigore delle modifiche degli artt. 366 e 125 c.p.c., apportate rispettivamente dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, comma 1, lett. i), n. 1), e dallo stesso art. 25, comma 1, lett. a), quest’ultimo modificativo a sua volta del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 35-ter, lett. a), conv. in L. 14 settembre 2011, n. 148, e nel mutato contesto normativo che prevede ora in generale l’obbligo per il difensore di indicare, negli atti di parte, l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, si ha che dalla mancata osservanza dell’onere di elezione di domicilio di cui all’art. 82 per gli avvocati che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati consegue la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio solo se il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c., non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine”.
Nel caso oggetto di commento, la Corte di Cassazione deve preliminarmente esaminare l’eccezione di tardività del ricorso formulata dal contro ricorrente considerando che, ove la stessa fosse risultata fondata, comporterebbe l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata e l’inesistenza del potere decisorio degli Ermellini.
Il controricorrente ritiene e sostiene che il ricorso per Cassazione sia stato notificato a termine ormai scaduto posto che
- la sentenza d’appello era stata notificata presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano in data 11 giugno 2015 e che, pertanto
- il termine per proporre ricorso per cassazione doveva considerarsi scaduto il successivo 10 settembre, mentre
- il ricorso era stato effettivamente notificato in data 22 ottobre 2015.
Aggiunge il controricorrente che la notificazione presso la cancelleria si era resa necessaria e pertanto giustificata considerando che l’attuale ricorrente nel giudizio di appello non avrebbe effettuato elezione di domicilio alcuna e che l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore era indicato solamente quale recapito per le comunicazioni di cancelleria ma non anche per le notificazioni.
La società ricorrente sostiene, invece, che la controparte non avrebbe potuto notificare la sentenza presso la cancelleria della corte d’appello, avendo l’onere di procedere alla notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata risultante in atti.
La Suprema Corte, dopo aver attentamente e scrupolosamente passato in rassegna il quadro normativo di riferimento, ritiene infondata l’eccezione sollevata dalla controricorrente ritenendo assolutamente tempestivo il ricorso per cassazione notificato nel rispetto dei termini di cui all’art. 327 c.p.c.
In assenza della norma sul “domicilio digitale” ricorrerebbero le condizioni alle quali per il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, comma 2, (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore) l’attuale ricorrente avrebbe dovuto considerarsi domiciliata ex lege presso la cancelleria della Corte d’appello di Milano ma, il R.D. ora citato deve essere raccordato (dal 25 giugno 2014) con la disciplina del c.d. “domicilio telematico” e delle notificazioni a mezzo di posta elettronica certificata (PEC).
Diverse pronunce della Cassazione hanno tuttavia ridimensionato il rilievo della “elezione” del domicilio telematico affermando (per fatti verificatisi prima del 25 giugno 2014) che, “..mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria” così come stabilito da: Sez. 6 – 3, sentenza n. 25215 del 27/11/2014, Rv. 633275; Sez. 6 – 3, ordinanza n. 2133 del 03/02/2016, Rv. 638920 e, da ultimo, Sez. 3 sentenza 20 giugno 2017 n. 15147.
Ma, come già evidenziato, anche l’ambito applicativo del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 ha subito, a sua volta, un giusto e doveroso ridimensionamento considerando che, a seguito di tutte le modifiche normative la domiciliazione ex lege presso la cancelleria è oggi prevista solamente nelle ipotesi in cui le comunicazioni o le notificazioni della cancelleria o delle parti private non possano farsi presso il domicilio telematico per causa imputabile al destinatario. Nelle restanti ipotesi, ovverosia quando l’indirizzo PEC è disponibile, è fatto espresso divieto di procedere a notificazioni o comunicazioni presso la cancelleria, a prescindere dall’elezione o meno di un domicilio “fisico” nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la causa.
Residua, tuttavia, un ristretto margine di applicazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82. Si tratta del caso in cui l’uso della PEC è impossibile per causa non imputabile al destinatario. In tale ipotesi, le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni degli atti vanno effettuate nelle forme ordinarie, ai sensi degli artt. 136 ss. cod. proc. civ.: solamente in tale eventualità assume rilievo – ai fini del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 cit., comma 2, – l’omessa elezione del domicilio “fisico” nel comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario.