I provvedimenti a tutela dei figli possono essere emessi, in caso in cui l’urgenza sia tale da non ammettere eventuali dilazioni di tempo e vi sia il rischio di eventuali ripercussioni lesive nei confronti degli stessi, anche inaudita altera parte secondo quanto previsto dal recente decreto del 28 luglio 2016 emesso dal Tribunale di Padova.
L’innovatività di tale pronuncia sta ovviamente nella concessione di un provvedimento a tutela dei figli senza il preventivo intervento della controparte. In sostanza, nel decreto che verrà analizzato il principio del contraddittorio lascia il passo all’urgenza di un provvedimento finalizzato ad evitare eventuali conseguenze pregiudizievoli nei confronti dei figli da parte di uno dei genitori.
Deve premettersi che nel nostro ordinamento, nonostante la frammentarietà della disciplina regolante il diritto di famigli, possono individuarsi vari mezzi che, vista la loro duttilità, possono essere utilizzati a seconda delle esigenze del caso concreto, producendo diversi effetti tanto nei confronti dei coniugi o dei conviventi, quanto dei figli.
Per esempio, il giudice può essere adito o in caso di contrasto tra i genitori su questioni di particolare importanza relative all’affidamento del minore ex art. 316 c.c., o per eventuali condotte pregiudizievoli di un genitore nei confronti del figlio ex art. 333 c.c. (speculare ai più recenti 342-bis e ss. c.c. tra coniugi e conviventi), o per la regolazione della responsabilità genitoriale ex art. 337-ter c.c., o ancora per le controversie sorte sulle modalità di affidamento ex art. 709-ter c.p.c.. Non solo, ma in molti casi, considerata l’urgenza a fondamento delle problematiche trattate, si è giunti ad ammettere l’utilizzo dello strumento atipico di cui all’art. 700 c.p.c. con il quale si possono chiedere una varietà pressoché illimitata di pronunce, anche se esso ha creato non pochi problemi a livello interpretativo (specialmente in relazione alla possibile impugnazione dei provvedimenti emessi; v., per esempio, Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, Anno LXVII, Fasc. 4-2013, Il procedimento della crisi tra genitori non coniugati avanti al tribunale ordinario, Michele Angelo Lupoi, pagg. 1289 e ss., Giuffrè, 2013).
Il problema fondamentale, però, è che tutti questi strumenti, a causa appunto della frammentarietà con la quale si è provveduto a legiferare in materia di famiglia e le varie modifiche legislative intercorse negli anni, non hanno dei contorni ben delineati e lasciano molto spazio ad interpretazioni tanto estensive quanto restrittive. Per esempio, qual è l’effettivo confine tra lo strumento di cui all’art. 316 c.c. e quello previsto dall’art. 337-ter c.c., cioè dove una questione che può essere ritenuta di particolare importanza circa l’affidamento del figli rientra nella regolamentazione della responsabilità genitoriale? Ed una decisione di particolare importanza nei riguardi del figlio dove può sfociare in una condotta pregiudizievole ex art. 333 c.c.?
Come anticipato, non c’è una risposta concreta che possa porre dei precisi confini ma bisogna aggiungere che solo l’art. 336 c.c., in relazione ai rimedi di cui agli artt. 330 (decadenza della responsabilità genitoriale) e 333 c.c. (condotte pregiudizievoli), permette una pronuncia c.d. inaudita altera parte, mentre ai sensi dell’art. 337-ter c.c. il giudice può intervenire di sua volontà onde prendere decisioni nel bene dei figli, motivo per il quale, in tutti gli altri casi, il principio del contraddittorio non può essere superato dall’urgenza della decisione.
Nella fattispecie concreta proposta ed oggetto del decreto analizzato, la situazione è apparsa sin da principio particolarmente complessa in quanto la ricorrente, italiana e da mesi residente in Italia, già separata in Canada con un Separation Agreement (accordo di natura privatistica non riconoscibile però in Italia) e dopo aver instaurato apposito procedimento di separazione nel nostro paese, ha chiesto, viste le minacce giunte dal legale canadese del marito riguardo la richiesta di un rientro della figlia, che il giudicante disponesse inaudita altera parte il divieto di espatrio della minore nonché un provvedimento con cui fissasse la residenza della minore in Italia e disponesse sulle modalità di visita.
Il giudicante, rilevata l’urgenza della questione, ha disposto inaudita altera parte fissando la residenza della minore, regolando le modalità provvisorie di visita nonché ordinando il divieto di espatrio.
Le motivazioni di tale pronuncia sono sicuramente pregevoli oltre che di rilievo.
In primo luogo, onde legittimare tale provvedimento, vengono richiamate alcuni principi generali in materia di provvedimenti cautelari espressi tanto dalla Corte Costituzionale (Cort. Cost., Sent. n. 190/85 e n. 253/94) quanto dalla Corte di Giustizia (C. 213/89, Sent. 19 giugno 1990). Poi, si fa espresso riferimento tanto all’art. 336 c.c. quanto all’art. 337-ter c.c.
Ciò fa ben comprendere che il giudicante, valutata e compresa la gravità e l’urgenza della vicenda, ha ritenuto opportuno ricomprendere la fattispecie concreta in quella astratta descritta dall’art. 336 c.c., il quale rinvia al 333 c.c. per gli atti pregiudizievoli. In sostanza, nonostante le questioni relativa alla fissazione della residenza, al diritto di visita nonché al divieto di espatrio riguardino scelte di fondamentale importanza che potrebbero essere ricomprese, come molte volte viene fatto, nella previsione dell’art. 316 c.c., la condotta tenuta dal padre è stata ritenuta tale da legittimare una pronuncia ex art. 336 c.c. che, come previsto dal codice, può anche essere emessa inaudita altera parte.
Infatti, laddove il giudicante avesse ritenuto la fattispecie concreta ricomprendibile nell’alveo dell’art. 316 c.c., avrebbe dovuto fissare l’udienza ed emettere eventuali provvedimento solo successivamente ad essa. Di contro, ritenendo che la decisione sia di rilievo in relazione alla tutela di una minore ma che il comportamento del padre potesse produrre eventuali pregiudizi, ha traslato la fattispecie nella zona di competenza dell’art. 336 c.c. che, appunto, prevede la possibilità di provvedimenti cautelari ante costituzione avversaria a maggior tutela dell’urgenza della questione.
Ovviamente, difficilmente può darsi una definizione oggettiva che possa spiegare in toto cosa si intenda quando si parli di c.d. “atti pregiudizievoli”, visto che ciò viene lasciato in primis al legale, il quale dovrà dare prova della possibile lesività della condotta di uno dei genitori, e poi al giudicante, che dovrà valutarne la portata e, eventualmente, i provvedimenti più opportuni da applicare al caso concreto.
Ciò fa ben comprendere la duttilità degli strumenti codicisticamente previsti che, nonostante non godano di una disciplina unitaria ed omogenea, possono comunque essere adattati alle più disparate situazioni concrete e, laddove sia possibile, per ottenere il risultato che meglio si adatta al caso concreto.